L’ospite accanto a me è Maria Campitelli. Storica dell’arte, Fondatrice del Gruppo 78.
Trieste, quanto a conoscenza dell’arte contemporanea, deve moltissimo a lei, teorica delle forme intermediali, esploratrice dell’intercodice. Da oltre trent’anni, infatti, svolge in quella città un’opera di diffusione delle nuove frontiere della ricerca artistica. Triestina, figlia dell’artista Giuseppe Matteo Campitelli, laureata in Lettere a indirizzo moderno presso l’Università cittadina con una tesi sui mosaici bizantini della cattedrale di San Giusto, è stata assistente alla cattedra di Arte paleocristiana all’ateneo triestino. È passata poi all’insegnamento di Storia dell’arte negli istituti medi superiori. Ha fatto parte di commissioni per spazi pubblici tra cui il Curatorio del Museo Revoltella e ha organizzato centinaia di mostre e rassegne sempre incentrate sulla contemporaneità.
Ricordo ai più distratti che alla fine degli anni Settanta, con il Gruppo ’78, portò a conoscenza della città l'Azionismo viennese e altre forme performative di estrema avanguardia.
- Benvenuta a bordo, Maria…
- Buon giorno, eccomi qua, sono un po’ intimidita da questa inconsueta vineria spaziale
- Il vino scioglie ogni timidezza. Ci pensa la stellare Irina Freguja patronne del Vecio Fritolin di Venezia che ci ha consigliato di sorseggiare durante la nostra conversazione una bottiglia di Capichera, Vermentino 2014, Vigne Surrau Branu… cin cin!
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore… insomma, chi è Maria secondo Maria…
- Prima di rispondere alla tua domanda, desidero precisare che il Gruppo78 è stato fondato da un gruppo di artisti e intellettuali, oltre che da me. E Il Wiener Aktiomismus arrivò a Trieste per merito anche di altre persone.
Detto questo, Maria secondo Maria è una che sin da piccola si è innamorata dell’arte perché in casa ha avuto modelli molto forti ed attrattivi. Mio padre, come hai ricordato, era un artista ed organizzatore di mostre; da lui ho preso sicuramente anche una capacità espressiva visuale che però non ho esercitato, mentre ho ereditato in pieno la sua capacità e volontà organizzativa per realizzare eventi. Anche mia madre e mia zia, sorella di mia madre, erano artiste, entrambe allieve di mio padre. Cioè da sempre ho respirato quest’aria, non ne conosco altre, e, formato il Gruppo78, ho puntato soprattutto all’attuazione di eventi d’arte contemporanea in una città, Trieste, non troppo propensa – specie tanti anni fa - ad esprimerli ed apprezzarli.
- La più recente impresa da te realizzata – a Trieste nel novembre scorso – è stata la mostra internazionale “Scienza – Arte – Biotecnologia” cui è arriso un lusinghiero successo.
Quali obiettivi ti hanno guidata nell’idearla?
- Il rapporto Arte-scienza è antico, basti pensare all’apice rinascimentale con Leonardo da Vinci. La modernità e contemporaneità hanno certamente superato le antinomie tra i due ambiti verificatosi col pensiero cartesiano. In America la simbiosi arte/scienza è comunemente acquisita, da noi l’eccesso di specializzazione nell’ambito scientifico può generare qualche resistenza al concetto di complementarietà tra arte e scienza. La mostra nasce dal presupposto che arte e scienza - con la straordinaria appendice tecnologica qui attestata sui meccanismi degli esseri viventi – producano entrambe conoscenza. La scienza investiga l’oggetto, l’arte coinvolge anche il soggetto portando a volte la ricerca negli abissi del subconscio. Sono accomunate da una medesima pulsione : la curiosità creativa.
- Oggi, specialmente con l’avvento delle nuove tecnologie, qual è a tuo avviso il ruolo che può e deve assumere il critico d’arte?
- Quello di far conoscere, con lo sviluppo delle nuove tecnologie, come oggi si comporta l’arte. Magari è stato il ruolo di sempre, quello di aprire le problematiche insite nei fenomeni artistici in relazione al tempo in cui si sono manifestati. Forse per i tanti anni di insegnamento di storia dell’arte, rimane in me, anche attraverso la scrittura e l’informazione sull’espressività contemporanea, l’orientamento fondante di individuare gli aspetti caratterizzanti un certo tipo di espressione, e attraverso la decodificazione, appropriarsene (in senso intellettivo). Oggi il critico d’arte non può prescindere dal digitale, da quegli alfabeti tecnologici alfanumerici binari che, con l’algoritmo, improntano e costruiscono qualsiasi progetto, nella dimensione virtuale immateriale da una parte, e congiuntamente interattiva dall’altra. È il segnale del nostro tempo in perenne trasmutazione e il critico lo deve cavalcare.
- Avanguardia è parola che, come alcuni affermano, appartiene all' “archeologia della cultura”, oppure è una parola che ha ancora un valido significato?
- Certo è un’espressione oggi meno usata, perché appartiene a fenomeni storicamente esauriti. La si è legata alle rivoluzioni artistiche degli inizi del secolo scorso e poi a quelle degli anni 60/70. Con l’avvento della “transavanguardia”, che in qualche modo ha costituito una sorta di retour a l’ordre cioè con gli anni ’80, le cose si sono mescolate. Non ci sono stati più decisi movimenti che spingevano avanti, per cui dovevi scegliere se essere “in” o “out” anche perché ormai era stato detto tutto. Oggi coesiste qualsiasi tendenza. Il vero grande movimento in avanti è lo sviluppo tecnologico, che però non si chiama avanguardia nel senso usato per futuristi, dadaisti… e poi concettuali, body-art… Il termine lo si usa in casi specifici e senza la portata dei fenomeni citati. Più “che di “archeologia della cultura” parlerei di assorbimento naturale nel flusso mutevole.delle cose.
- Non solo performers quali Orlan, Stelarc, Stelios Arcadiou, Yann Marussich, usano il proprio corpo come esplorazione antropologica della fisicità. Penso agli artisti biopunk – ad esempio, Dale Hoyt che n’è capofila - che considerano le biotecnologie una nuova forma estrema di Body Art.
Come interpreti quest’interesse delle arti per una sorta di neocorpo?
- L’arte non solo interpreta il proprio tempo ma lo prefigura. E si appropria delle scoperte, delle invenzioni tecno-scientifiche, per adattarle alla propria ricerca che, con l’apertura creativa, è comunque cognitiva. Negli anni 60/70 c’è “l’esplorazione antropologica della fisicità” come dici tu, il corpo si sostituisce alla tela o al materiale di base dell’artista tradizionale. Con l’espansione della ricerca tecno/scientifica ecco la bionica, il cyborg, gli organismi cibernetici che avvicinano la macchina all’essere vivente, la robotica. L’arte ingloba questi processi e attraverso la biotecnolgia appunto – a Lubiana c’è un centro, la galleria Kapelica che è una vera fucina di queste ricerche artistiche biopunk– ipotizza, modella, crea un nuovo corpo, affiancando e precorrendo l’esplorazione scientifica, deviando da essa facendola diventare opera.
- Le autostrade telematiche, i networks interattivi, internet, il multiverso, e altre tecnologie, sostituiranno in futuro lo spazio delle gallerie?
- Beh, dal momento che la smaterializzazione è il dato saliente che consegue all’utilizzo di dispositivi elettronici (abbiamo già i musei percorribili virtualmente), e stando alle ipotesi di studiosi come Nicholas Negroponte il futuro degli spazi espositivi dovrebbe diventare veramente virtuale. In questo senso sarebbero molto più facilmente praticabili, essendo carente lo spazio concreto delle gallerie, in quanto a disponibilità ed approccio. Tuttavia personalmente ritengo che lo spazio concreto, con i cerimoniali che comporta… opening, visite guidate, finissage… abbia un suo fascino ineludibile che resisterà al declino. Ma qui si aprirebbe un discorso più vasto che investe il futuro di tutte le attività umane.
- Si parla spesso, in Italia, di privatizzazione dei Musei. Non esclusi quelli d’arte contemporanea.
Come la pensi al proposito?
- A dire il vero non sono molto favorevole alla privatizzazione dei musei. Se ne parla perché si ritiene che passando al privato le cose funzionerebbero meglio. Penso che invece potrebbero diventare delle roccaforti di potere negli interessi di chi ne è il proprietario e delle agenzie di gestione. Il pubblico mi dà garanzie di maggiore apertura nei confronti della comunità, certo però che in Italia la gestione pubblica ha bisogno di molte migliorie, da un punto di vista burocratico, di rapporti col personale, di efficienza. Ma il discorso rientra in un quadro di generale lassismo e degrado, relativamente alla situazione italiana, che si auspica trovi la via della risalita anche con la recente nomina dei nuovi giovani direttori.
- “Non riesco a capire perché le persone siano spaventate dalle nuove idee. A me spaventano quelle vecchie", così diceva John Cage.
Perché in molti hanno paura delle tecnologie e delle nuove forme di comunicazione da esse governate? Da dove viene quel panico?
- Naturalmente concordo con John Cage. La paura delle nuove tecnologie e delle nuove forme di comunicazione e in genere dell’innovazione dipende dall’ignoranza. Si teme il nuovo perché non lo si conosce e perché in ogni caso comporta il cambiamento. E’ più facile continuare a fare sempre le stesse cose, piuttosto che cambiare abitudini. Direi che questo è un atteggiamento più proprio di persone mature che gli secca dover armeggiare con dispositivi che non conoscono, mentre le giovani generazioni sono molto più disponibili, anzi hanno già impresso nel loro DNA la rapida assimilazione delle nuove procedure, specie i socialnetwork.
- A Vienna, al manicomio di Gugging, c'è un padiglione chiamato “Haus der Kunstler”, la Casa degli Artisti, dove alcuni ricoverati sono diventati pittori (Walla, Garber, Kernbeis, e altri) riconosciuti anche dal mercato, esposti in una delle più prestigiose gallerie viennesi Galerie Nachst St. Stephen. E' solo uno dei tanti esempi sul tema Arte-Follia.
Tutto questo per chiederti: l'arte è una malattia o una terapia?
- Né l’una né l’altra. Gli artisti che citi tu del manicomio di Vienna, anche se sono stati esposti alla Nachst St. Stephen non fanno testo. Nel senso che non hanno inciso in nessun modo sull’andamento della storia dell’arte. E’ un fatto, aumentato dal prestigio della galleria, a fini commerciali. Nulla vieta che un folle possa anche essere un artista. E che in parte la follia stessa determini la sua espressività. Ma da questa constatazione all’affermazione che l’arte nasca dalla follia ci corre. L’arte è una necessità. Ed è comunque un discorso complesso, vi può influire anche la malattia, ma non è la componente fondamentale e si tratta di casi singoli. Quanto all’arte come terapia, esiste anche questa realtà, ma si tratta di altri ambiti, di altri fini, e comunque di sotto-rivoli del grande fiume impetuoso che è l’arte.
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… come sai, Roddenberry ideò il suo progetto avvalendosi non solo di scienziati ma anche di scrittori, e non soltanto di fantascienza, tanto che ST risulta ricca di rimandi letterari sotterranei, e talvolta non troppo sotterranei…che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- Ti devo deludere. Del resto in questo ambiente con i personaggi che mi hai citato, non potevo che aspettarmi che mi chiedessi di Star Trek. Non sono una fan del video-mito proposto a più riprese. Anche se apprezzo il background culturale, la multidisciplinarità sottesa alla sua costruzione, soprattutto l’anticipazione lungimirante di potenzialità tecnologiche, il dottore non reale visualizzato in 3 D grazie a futuribili proiezioni olografiche… il racconto, che ho seguito assai poco, non è nelle mie corde. Mi dispiace.
- Siamo quasi arrivati a Campitelli-M, pianeta abitato da alieni che hanno per motto “Ars sine Scientia nihil est”… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di Vermentino Capichera consigliata da Irina Freguja patronne del Vecio Fritolin di Venezia… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
- Puoi contarci, di sicuro!
- Ed io ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
È possibile l'utilizzazione
di queste conversazioni citando
il sito dal quale sono tratte e menzionando il nome dell'intervenuta.
Vi preghiamo di non richiedere alla redazione recapiti telefonici, mail o postali dei nostri ospiti che non dispongano di un sito web; non possiamo trasmetterli in ottemperanza alla vigente legge sulla privacy. |
|