L'ospite accanto a me è Marco Marcon.
Critico d'arte, organizzatore culturale, autore radiotelevisivo. Lasciò
l'Italia nell'84, stabilendosi a Perth dove con Rodney Glick ha fondato
IASKA una Galleria d'Arte contemporanea di cui parleremo appresso, ma
prima che me ne scordo vi segnalo il suo sito: www.iaska.com.au
Primi vagiti nel mondo artistico: crea insieme ad Amedeo Sorrentino
un locale di jazz e musica improvvisata destinato a diventare famoso
sulla scena romana, e non solo: "Murales" che si trasformò
poi in agenzia organizzando festival e rassegne.
In Italia, ha diretto una rivista d'arte a diffusione nazionale, si
chiamava "Praxis M"; in Australia ha insegnato per molti anni
all'Università, ogni tanto dà ancora qualche lezione,
come ospite (che sia gradito o no, lo stabiliscano i locali).
Non ha risparmiato la Rai - né la Rai ha risparmiato lui - realizzando
documentari e rubriche d'arti visive; ha scritto anche radiodrammi sperimentali,
tra i quali ricordo: "La pallottola d'argento", "Rythmos",
"Zone di frontiera", ma ce ne sono degli altri.
Oltre a presiedere i destini di Iaska, pubblica saggi su cataloghi di
mostre. Se ne volete un assaggio, addentate www.cofa.unsw.edu.au
- Benvenuto a bordo, Marco
- Ciao Armando! Che piacere rivederti qui, circondato da amici e bottiglie.
E poi 'sta vineria e' proprio gagliarda: extraterritoriale e transculturale
e' anche meglio della transit lounge dell'areoporto di Singapore.
-
voglio farti assaggiare questo Piedirosso di Caputo
- Dai, stappa!
- Senti, il Capitano Picard è bravissimo, a Roma, per lodarne
la guida, direbbero "è un bel manico", però
noi nello spazio stiamo, schizziamo "a palla", prudenza vuole
che tu, in poche battute, trasmetta sulla Terra il tuo ritratto, insomma
come vorresti essere ricordato dagli umani
no, non fare quegli
scongiuri! Ci sto pur'io su 'sto tram, mica m'auguro che
sai, la
mia è solo previdenza
- Oddio, vuoi l'autoritratto per i posteri!
questa non me la aspettavo
Da
postmodernista pigro ti rispondo con una citazione visiva molto nota.
E' un quadro di Magritte, La reproduction interdite, lì un uomo,
ritratto di dietro, si guarda in uno specchio che però riflette
solo la sua immagine di spalle. E' un'immagine classica, usata molte
volte sia nella pubblicità che sulle copertine di libri per alludere
alle aporie e alle velleità della soggettività. Se dovessi
dipingere un mio autoritratto, lo farei così, è perfetto.
- Vuoi spiegare agli avventori per quale motivo hai lasciato l'Italia
e scelta proprio l'Australia?
- Ho lasciato l'Italia per ragioni personali più che produttive.
L'Australia era una meta suggerita dalle circostanze (ero sposato ad
un'australiana) ma anche dal mio interesse per la cultura anglosassone,
che m'attirava per la sua radicale diversità da quella italiana
e mediterranea. Inoltre, credo che per noi europei l'Australia abbia
sempre rappresentato il sito ideale per il transfer utopico, una specie
schermo vuoto dove proiettare i desideri e le fantasie più diverse.
- Qual è il rapporto fra operatori culturali e Istituzioni in
Australia, e in che cosa si differenzia, se si differenzia, da quello
che conosciamo in Italia?
- Le differenze sono tante e di vario tipo. La struttura istituzionale
australiana è, ovviamente, di tipo anglosassone, vicina per certi
aspetti a quella statunitense, per altri a quella britannica. Rispetto
all'Italia i rapporti tra operatori culturali e istituzioni sono, in
genere, più corretti ma anche più politically correct.
Il che vuol dire che c'è maggiore pulizia, maggiore chiarezza
ma anche una certa dose di perbenismo ideologico. In Italia, credo,
ci sia più trasgressione, sia in senso positivo che negativo.
Gli italiani sono molto immaginativi e disinibiti quando si tratta di
inventare nuove forme artistiche o nuovi modi di fregare il prossimo.
Preciserei però che la trasgressione italica non è poi
sempre così eccessiva e mefistofelica, troppo spesso infatti
è intristita da meschinità e micro-carognerie piccolo
borghesi. D'altro canto la correttezza un po' puritana degli anglosassoni
è attraversata da correnti di demenza segreta: Jeckyll e Frankenstein
mica li abbiamo inventati noi!
- Iaska è un centro di grande rilievo, ne hanno scritto riviste
internazionali quali Art Monthly, Art + Text, ha ospitato artisti di
primo piano, da Jeff Koons a Umberto Cavenago, da Salvatore Falci a
Matthew Ngui, da Gilbert and George a Ed Ruscha, ad altri ancora.
Puoi esporre in breve il tuo progetto espressivo e come vorresti si
evolvesse nel futuro?
- Iaska nasce da una strana sintesi di motivazioni e impulsi diversi.
All'inizio c'era il desiderio di realizzare un'idea paradossale: creare
un centro internazionale d'arte contemporanea in un luogo simile ad
una di quelle cittadine texane in cui erano ambientati i film Western
degli anni cinquanta. Iaska vuole effettuare uno spiazzamento, una decontestualizzazione
radicale del fare artistico al fine di verificare la rilevanza dell'arte
contemporanea in un contesto estremo. Tieni conto che gli artisti vivono
a Kellerberrin per periodi di tre mesi e che il lavoro da nasce da un'interazione
con il sito e la comunita' locali. Qui non ci sono torri d'avorio in
cui nascondersi, bisogna sporcarsi la mani con il quotidiano e confrontarsi
con situazioni alle volte difficili. E' facile farsi illusioni sull'importanza
dell'arte quando non si esce mai dal rassicurante circuito degli addetti
ai lavori. Provaci a Kellerberrin e poi vedi!
- Vabbè, uno di questi giorni ci passo per l'aperitivo. Senti,
noto dai programmi delle tue attività che ad Iaska dai molto
spazio alle nuove tecnologie. L'arte elettronica, la vedi come una smaterializzazione
del corpo fisico delle arti così come le conoscevamo? O come
una sua protesi? Oppure una mutazione genetica?
- Armando, prima mi chiedi l'autoritratto postumo, poi alludi alla
'smaterializzazione del corpo' ma, insomma, a che gioco giochiamo? Il
corpo serve, altrimenti sto' buon vinello come ce lo godiamo?
- Hai ragione! Libiam nei lieti calici
- Sì, è meglio
comunque spesso le tecnologie usate
dagli artisti non sono poi tanto nuove. Il video, che è tra i
media più usati nell'arte contemporanea, c'è da più
di cinquant'anni. Naturalmente adesso esistono nuovi aggeggi che amplificano
la portata di queste 'vecchie' tecnologie, proiettori, computers, ecc.
In genere direi che quando la tecnologia e' molto nuova le opere tendono
ad essere superficiali. Gli artisti sono troppo infatuati e distratti
dalle nuove possibilità tecniche per concentrasi sui contenuti.
Insomma, per quanto riguarda l'arte, la tecnologia è come il
vino, se invecchia un po' dà il meglio
- Alle brutte: Arte e Scienza, su quali piani prevedi che s'evolverà
questo rapporto?
- Se è vero, come credo sia il caso, che la scienza costituisce
l'apice di un modello di razionalità strumentale e riduttiva,
allora il compito dell'arte e' di ricordarci che i processi cognitivi
ed emotivi vanno ben oltre la matematica, la logica formale e l'empirismo
realista. Questo non vuol dire affatto che la scienza sia in sé
un fatto negativo. I problemi nascono quando lo scientismo assume un
ruolo egemonico e si impone in sfere che non gli sono proprie, come
l'etica, l'estetica e la politica. L'arte costituisce un'alternativa
radicale a questi processi egemonici.
- Dal tuo osservatorio internazionale, in quale delle aree espressive
credi che ci siano oggi i lavori più interessanti nella sperimentazione
di nuovi linguaggi?
- Questi paragoni interdisciplinari sono molto complessi. Credo che
sia il peggio che il meglio lo si trovi nelle arti visive. E questo
per ragioni che appartengono esclusivamente alla struttura del mercato.
Per esempio, se uno scrittore vuole guadagnarsi da vivere attraverso
il proprio lavoro creativo deve vendere, che so', 20.000 copie l'anno.
Il che vuol dire, in pratica, che deve soddisfare i gusti e le aspettative
di, come minimo, 20.000 persone
che faticaccia!
questo ovviamente
limita la portata della sperimentazione. Per chi fa arti visive, invece,
delle volte è sufficiente entrare nelle grazie di un miliardario
eccentrico o di un'ereditiera un po' svitata. Ci sono molti esempi di
pittori le cui fortune finanziarie sono state assicurate da uno o due
collezionisti di quelli 'giusti'. Questa situazione crea le condizioni
per libertà ed eccessi di tutti i tipi.
- Due domande in una. Che cosa sanno dalle tue parti della nostra attuale
produzione artistica, quali nomi arrivano a livello di massa?
- A livello di massa non arriva nulla, a parte forse le canottiere
di Versace.
Qualche prodotto culturale italiano è consumato dalle classi
medie urbane con educazione universitaria: qualche film, un po' di design,
molto raramente la narrativa: gli anglosassoni sono monolinguisti, ed
anche poco interessati ad opere in traduzione. Gli addetti ai lavori
sono naturalmente più informati. Il problema è che le
istituzioni che dovrebbero promuovere la cultura italiana all'estero
sono spesso un po' abuliche. E poi c'è, purtroppo, sempre il
sospetto che le poche iniziative portate avanti siano viziate da inciuci
nepotistici.
- Proprio perché l'Enterprise naviga nello spazio, cerco di
fare anche domande che rimandino alla Terra, ma non proprio terra. Pareri,
suggerimenti, o anche insulti, che dall'Enterprise vengono trasmessi
alle Istituzioni coinvolte nelle conversazioni.
Allora, hai qualcosa da dire che posso girare alla Farnesina, alla Direzione
Generale per la Promozione della Cultura italiana all'estero? Qualcosa
che ancora non si fa, ad esempio proprio nelle arti visive, e invece
potrebbe essere fatto? Ovviamente, mi riferisco al continente australiano
- La cultura visiva italiana contemporanea è pochissimo conosciuta
in Australia. Infatti, non credo ci sia mai stata una mostra che abbia
documentato in modo dignitoso le correnti degli ultimi decenni. Di recente,
è girata da queste parti una mostriciattola che pretendeva di
svolgere questa funzione, purtroppo si trattava di una deludente accozzaglia
di quadretti e opere grafiche di secondo piano, nonostante che alcuni
degli artisti partecipanti fossero di indubbio valore. Sarebbe bello
se le istituzioni di cui sopra sostenessero iniziative artistiche più
sostanziose e rappresentative della scena artistica recente
- Secondo me, potrebbero cominciare con l'accorgersi proprio di Iaska
che sta in Australia ed è gestita da un italiano, non credo s'arrivi
al colmo che tu e la Galleria siate noti in Europa, negli Stati Uniti,
e non presso le nostre Istituzioni che s'occupano del territorio australiano.
Ascolta, a tutti gli ospiti di questa taverna spaziale, prima di lasciarci,
chiedo una riflessione sul mito di Star Trek
che cosa rappresenta
secondo te
- Armando, scusami ma questa è la mia prima visita all'Enterprise.
Lo so che è difficile crederci, ma il mito di Star Trek me lo
sono lasciato sfuggire. Un po' mi vergogno, ma mi conosci, ho la testa
tra le nuvole, o, come si dice qui, I live on another planet.
- Per questa volta, passi. Ma alla prossima presentati preparato sull'argomento
- Lo sarò, giuro!
- Siamo quasi arrivati ad Iaska, pianeta abitato dagli operosi Marconiani
dediti alle arti elettroniche e allo studio dei motti osceni veneti
se
devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l'intervista,
anche perché è finita la bottiglia di Piedirosso di Caputo.
Però torna a trovarmi, io qua sto
intesi eh?
- Certamente caro Armando. A presto.
- Ti saluto com'è d'obbligo sull'Enterprise: lunga
vita e prosperità!
È possibile l'utilizzazione
di queste conversazioni citando
il sito dal quale sono tratte e menzionando il nome dell'intervenuto.
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