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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L’ospite accanto a me è Piero Cavellini. Critico d’arte. E’ Nato a Brescia nel 1946.

E’ laureato in sociologia, cosa questa che, come vedremo, influenzerà il suo lavoro di critico.

Dal 1974 avvia un’attività espositiva volta ad effettuare una ricognizione sul lavoro della generazione di artisti internazionali suoi contemporanei, spaziando dal movimento Fluxus all’Arte Povera, all’uso del mezzo fotografico nell’Arte.

Fino al 1995 ha organizzato circa 200 mostre nei propri spazi espositivi, e più di sessanta a tutto il 2003 in spazi istituzionali.

Ha condotto un’attività editoriale – Edizioni Nuovi Strumenti – di supporto critico e creativo, intervenendo con numerosi testi a corollario delle opere pubblicate. Le edizioni contano 195 titoli.

Si è occupato, dal 1977, d’arte ambientale, curando la rassegna “Arte-Ambiente” per il comitato di quartiere di Porta Venezia a Brescia.

Dal 1977 al 2000 è stato curatore della “Raccolta dei Campiani”, una collezione privata d’arte contemporanea per la quale ha formato uno dei più importanti parchi di scultura esistenti in Italia.

E’ figlio d’arte, il padre, infatti, è Guglielmo Achille Cavellini (1914-1990), artista che, mi piace sottolinearlo, quando la critica italiana si deciderà a riconoscerne l’importanza, sarà sempre tardi. Nel 1990 ha fondato l’Archivio Cavellini http://www.cavellini.org/indexi.html, riunendo un imponente materiale (lettere, documenti, fotografie, libri, riviste, manifesti) riguardante l’arte d’avanguardia internazionale dal dopoguerra ad oggi, ed una collezione di arte postale internazionale che conta più di duemila unità.

Nel 2000 l’Archivio Cavellini è diventato Associazione onlus, ente no-profit che si occupa della conservazione, classificazione e divulgazione del materiale appartenente all’Archivio.

Dall’anno accademico 2001-2002 tiene un corso di ‘Storia della fotografia’ presso la Laba http://www.laba.edu, Libera Accademia di Belle Arti di Brescia, e dal 2004 conduce sia un laboratorio sulla produzione di Eventi Artistici alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica di Brescia e sia un nuovo corso denominato ‘Fenomeni artistici e Sistema dell’Arte’ alla già citata Laba.

In campo letterario, ha pubblicato nel 1992 un libro-opera, in collaborazione con Antonio M. Faggiano, dal titolo ”Venti canzoni di Amore e Psiche”, e Senzazucchero http://www.edizionilobliquo.it nel 2002.

 

Benvenuto a bordo, Piero
Eccomi, sono pronto!
Il patron del Web and Wine http://www.webandwine.com di Volterra, Enrico Buselli, mi ha consigliato di assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo ‘ Nambrot’ segnalandomi in Spacefax che “ E’ un Igt Rosso di Toscana,Azienda: Tenuta di Guizzano; il luogo di produzione si trova a Peccioli (Pisa) ;Vitigni:  70% Merlot - 20% Cabernet Sauvignon 10% Petit Verdot ;anno di produzione:  2001”… qua il bicchiere.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Piero secondo Piero…
Uno a cui piace il vino rosso, quindi qui mi trovo bene e non si sa mai che riesca a sciogliermi un poco, in genere sono restio a descrivermi in modo diretto, ho bisogno di metafore e forme trasversali se no mi sembrerebbe di banalizzarmi. Ecco forse sto tutto qui dentro. Sono una forma letteraria… con tutte le ambiguità che questa possiede. Secondo Borges questo è il vero ritratto, non quello della macchina fotografica. Quindi, per continuare la citazione potrei essere letto come tra invalicabili specchi nei luoghi dei giardini che si biforcano… vedi che il vino rosso comincia a fare effetto.
Comunque tu come introduzione hai usato il mio curriculum vitae, bene io forse in realtà ne sono l’alter ego.
E all’alter ego dico: "Da quando i generali non muoiono più a cavallo, non vedo perché i pittori dovrebbero morire davanti al cavalletto" così disse Duchamp. Esprimersi oggi su tela e colori, lavorare con quei materiali, ha ancora un senso? Non ti nascondo i miei dubbi…
La questione non è così semplice. Il Novecento con tutti i motori che aveva avviato all’inizio si è fatto artefice della definitiva disgregazione della prospettiva centrale nella rappresentazione, concetto che aveva fin lì dominato l’epoca moderna. E con Duchamp appunto ha definitivamente congiunto l’arte e la vita attraverso l’Utopia, il vero gesto neoromantico che effettivamente dominerà il secolo. Fino agli anni Settanta tutto è andato liscio, un darwinismo perfetto ne ha concatenato le conseguenze. Poi al di là del moderno abbiamo perso la geometria euclidea ed uno sguardo sbieco ci fa inevitabilmente vedere la storia in un modo nuovo. Diveniamo nomadi, trasversali. Quindi la pittura è riapparsa come sintomo, anche brutta, viscerale, citando a vanvera i rami minori. Più recentemente c’è stato un piccolo “bigbang” legato all’emozione genetica, al “trasformer”. Attenzione DADA non è onnipotente, DADA è morto.
Dai primi happenings degli anni ’60 fino alla performance detta ‘flash mob’ dei nostri giorni, il corpo e le azioni sono usati come strumenti dell’arte. Qual è l’elemento più rilevante che noti nel cambiamento fra quelle esperienze di circa cinquant’anni fa e queste d’oggi?
La genetica appunto. Allora il mettersi sul palcoscenico con la propria carne e renderne pubblico il vissuto stava nella sfera pulsionale. Per ricucirsi con la questione darwinistica era una diretta evoluzione dai concetti psicoanalitici. Ossia, per ricorrere anche a Marcuse, l’autore performer doveva mettere in gioco il suo io, salvarsi dal macigno estetico del consumo di massa, essere antipop, rifuggire nuovamente il realismo.
Ora tutto questo non esiste più. Dopo “posthuman” la trasformazione estetica ed etica usano la stessa chirurgia. Può non piacere, come forse quasi mai dovrebbe piacere l’arte, ma l’artista vuole solo creare un mostro, la stessa tentazione inespressa che hanno i manipolatori reali dei Dna. Noi che siamo su di una navicella per metafora, mimiamo un film, Mariko Mori ci sale davvero ed invece di chiedere cosa ne pensi realmente di te ti fotografa i pensieri.
La telematica ha rinnovato le misurazioni fra arte e società. A tuo avviso, quest’influsso tecnologico ha avvicinato oppure allontanato fra loro arte e società?
Non c’era bisogno di avvicinare nulla perché arte e società subiscono incontri e scontri da millenni e proprio oggi sono in una fase simpatica. Si parla di arte pubblica, di trasformazione sociale attraverso l’arte, non per fare i sinistrorsi ma perché ciò è la diretta conseguenza dei concetti che ti dicevo prima. Smettendo di trasformare se stesso l’artista non può rimanere alieno, deve scommettere su di un mondo nuovo. Senza alcuna reale previsione, che non mi compete, ma concettualmente l’arte tende a sostituire la politica.
Le nuove tecnologie sono senz’altro un aiuto forte in questo progetto. Ed intanto sperimentano al punto da confondersi con l’opera. Internet e la net art in primis, ma anche la macchina privata della sua funzione messa in gioco nello spazio mediale, immagina un Tinguely all’epoca del computer.
Le autostrade telematiche, internet, e altre tecnologie, sostituiranno in futuro lo spazio delle gallerie?
Come ho già accennato, non sono un mago, il mio compito è descrivere il presente e metterlo in relazione col passato. Per il futuro non faccio previsioni ma descrivo territori e, al limite, posso disegnare curve probabilistiche. Comunque, svestendomi del paludamento sociologico che, per effetto del vino, comincia ad accalorarmi troppo, se dovessi immedesimarmi in un Capitano Nemo che si inoltra nel futuro non immaginerei spazi nuovi ma piuttosto non-spazi. Ossia, per capirci, totalmente in astratto però, invece di un’arte che si veicola diversamente vedrei il diverso come arte. Tutto ciò allontanerebbe definitivamente il fantasma del ready made che alla fine influenza ancora la nostra idea di opera. Ossia opera che esce dalla quotidianità ma pur sempre opera. Anche il veicolo telematico esige il suo ready made. Come in passato a partire da Cezanne e dal cubismo c’è stato lo sradicamento graduale della prospettiva è lo sradicamento totale del concetto che ne ha preso il posto che potrebbe influenzare il futuro.
Baudrillard definisce “estasi da Polaroid” quella voglia tutta nostra contemporanea di possedere l’esperienza e la sua oggettivazione. A tuo parere, questo desiderio che assilla (o anche delizia) l’uomo d’oggi, è, oppure non è, all’origine del nuovo consumo delle immagini?
Pensa che in fondo la fotografia nasce come cosa vecchia. Proprio nell’epoca in cui il desiderio dello sradicamento prospettico che dicevo prima si fa forte, nasce una tecnica che si fonda essenzialmente sull’ottica e sulla chimica, due concetti che appartengono al passato. L’elettronica e la relatività sono alle porte. C’è poco tempo. Se non fosse stata cooptata da un pensiero nuovo e stravolta la fotografia sarebbe ancora al pittorialismo.
E’ la genialità casuale dadaista che la usa e le fa perdere forma, come a tutto il resto d'altronde, la non opera ed il non luogo nascono da lì. Quindi la fotografia conta poi non perché oggettiva qualcosa, questa balla di fermare il tempo è un concetto ancora da camera obscura, ma perché accelera i processi di comunicazione e mette una spina nel fianco alla pittura. La fotografia è importante non quando rappresenta ma quando trasforma. D'altronde nel Novecento l’umanità avrebbe trasformato anche con una clava in mano.
Berenice Abbott, fotografa e teorica americana, ha scritto: “Il fotografo è l’essere contemporaneo per eccellenza”
Condividi quest’affermazione? E – se sì – perché possiede “per eccellenza” quella qualità?
Allo stesso modo di un saltimbanco. Con la dovuta reverenza per la Abbott che ha fatto scatti meravigliosi non per l’eccellenza del mezzo che teneva tra le mani ma perché si è andata a cercare uno sguardo nuovo, poi poteva anche sputarci dalla cime dei grattacieli che per assurdo sarebbe stato lo stesso. Lo sguardo sbieco, decentrato, a cavalcioni di una parapetto del 76° piano, come un saltimbanco appunto, è stata una geniale preveggenza. Sono l’uomo ed il suo pensiero che sono eccellenti, non le professioni. Se no gli aderenti ai cinefotoclub che generalmente sono dei coglioni dovrebbero governare il mondo.
I telefoni cellulari fanno ed inviano fotografie digitali. Le e-mail saranno accompagnate da immagini e suoni. L'unione di tre media (foto, musica, comunicazione scritta) quale influenza potrà avere sul linguaggio dell'immagine fotografica?
Dicono che la fotografia non c’è più perché il sistema analogico sta per scomparire. Io dico, per riprendere il concetto dianzi espresso, che la fotografia come mezzo non c’è mai stata. E’, come dicevo, nata bastarda, è il mondo che l’ha usata stravolta, trasportata dentro e fuori le sue perifrasi. Quindi oggi è lo stesso. Certo che useremo il telefonino multifunzionale, riproduttore di noi stessi ed appendice anche, forse ce lo metteranno incorporato sotto pelle. E quando tenteranno di interfacciarlo direttamente col nostro cervello? Qual è il limite che siamo disposti a supporre per soddisfare la nostra euforia di esseri pensanti? Nessuno suppongo. Se si deve credere che c’è qualcosa che non cambierà mai questa non sarà certo la fotografia, ma io che sono essenzialmente necrofilo la colleziono da trent’anni.
Fra le cose più recenti da te agite c’è il “ProgettoUtopia”.
Puoi sinteticamente dirci di che cosa si tratta?
Mi accorgo che fin qui ne ho descritto un bel pezzo di “ProgettoUtopia”. E’ un assieme di concetti che comprende anche la questione arte-non arte che ha pervaso tutto il secolo appena passato. L’uomo mettendo in dubbio tutte le integrità che lo avevano fin lì governato non ha trovato di meglio da fare che rinominarle usando il concetto d’identità per uscire dai sistemi di luogo e di opera che non erano più adatti a definire precisamente alcunché. Per concepire il distacco dal luogo e dall’opera è stato necessario uno slancio utopico, un poco come la fantasia al potere del maggio ’68 per intenderci. “ProgettoUtopia” intende descrivere questi slanci a partire dall’interventismo futurista per giungere all’arte pubblica e tecnologica naturalmente attraverso le avanguardie storiche e quelle postsituazioniste.
Presentandoti, ho ricordato la figura di tuo padre Guglielmo Achille, in arte Gac.
So bene - come ho già detto in una nota in Cosmotaxi tempo fa - che te n’occupi non soltanto per amore filiale, ma anche per convincimento critico.
Qual è l’importanza (all’estero nota) di Gac nello scenario artistico contemporaneo?
Ha anticipato troppo per essere compreso nel suo tempo. E’ proprio la sua complessità espressiva che allora sembrava ai più semplice narcisismo con i soldi in tasca che lo rende di un’attualità sorprendente. In parte alcune affermazioni che ho fatto parlando del sistema dell’arte e delle sue trasformazioni sono passate per il suo pensiero. Semplice, diretto, quasi disarmante da essere per necessità futuribile. Per accorgersene bisogna stare col pensiero più in là. Chi ci governa dentro e fuori il sistema generalmente è ancora dietro la curva.
Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa … che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
Forse Star Trek l’ho frequentato poco ma è proprio l’immaginario a rendermelo vicino. E’ solo attraverso questo rimando sottile che si trasforma in continuazione che il pensiero produce progetti che prima erano inimmaginabili. E senza questi, compreso Star Trek, non so quanto varrebbe la pena vivere.
Siamo quasi arrivati a Cavellýnia, pianeta abitato da alieni visionari che il caffé lo prendono sempre senzazucchero… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di ‘ Nambrot’ consigliata da Enrico Buselli patron dell’Enoteca Web & Wine di Volterra … Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh
Certo, arrivederci, grazie per la bottiglia. Ma vorrei scendere in incognito perché odio le fotografie.
Vabbè, niente fotografi al cosmodromo. Ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

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commenti presenti

Interessante, un po' sul lungo però. Avrei gradito maggiore concisione e da parte di Adolgiso domande più serrate, insomma da mettere in difficoltà l'ospite e non a suo agio come qui avviene. Karisma

inviato da Karisma
 

Non sapevo nulla di Gac. Grazie per avermene informata. Carolina Messori

inviato da Carolina Messori
 

Ma l'ama o la odia la fotografia Piero Cavellini? E' a favore oppure nonlo è dell'arte elettronica? Domandegiuste. Risposte ambigue. Comunque interessante personaggio, come sempre su questo sito. Mi sono iscritto tempo fa alla mailing list ma non ricevo vostri comunicat. Perché mai? mario de salvi

inviato da mario de salvi
 

Complimenti per questa intervista, ma il sito che visito ci ha abituati a personaggi interessanti. Ho qui una proposta per Cavellini. Ho visitato la home dedicata a GAC (confesso di non conoscerlo, ma è certamente colpa mia), molto intrigante la sua operazione, perché non ponete in quel sito giudizi e pareri di critici su di lui? Servirebbe ad orientare meglio chi vuole occuparsi dell'artista. Angelus Novus

inviato da Angelus Novus
 

.. foto è fantasia e sogno d'altri momenti, amore ed odio. Perciò nessuna foto, resta il mistero .. chiuso, aperto.. nella parola. La sua, senza timore, con approvazione !

inviato da phillis
 

 

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