Un bar notturno dove gli avventori si conoscono tutti fra loro. Più per nome che per cognome.
Da un vecchissimo juke-box in fondo alla sala,
provengono le note della canzone che vi aggrada.
In Primo Piano, Adolgiso parla con i suoi amici di sempre, sfaccendati o peggio.
Scommettiamo un Campari che non conoscete l’origine del modo di dire “fare fiasco”?... come?... no no no!... niente storie d’osteria. Le cose stanno diversamente. ll Cardinale Giulio Mazarino, il 7 gennaio 1661, pochi mesi prima di morire a 59 anni, nonostante i tanti gravosi impegni di governo, prese carta e penna e scrisse al bolognese Giuseppe Domenico Biancolelli, invitandolo a raggiungere subito Parigi per esibirsi nelle vesti di Arlecchino, maschera con la quale l’attore andava raccogliendo successi e che conoscerà definitiva notorietà internazionale, proprio nella capitale francese.
Mazarino, messo al bando nel 1651, era trionfalmente rientrato al potere due anni dopo e teneva ancora l’effettivo governo di Francia.
Il Cardinale, navigatissimo allievo di Richelieu, era capace di seguire contemporaneamente più cose: guidare la diplomazia, occuparsi delle finanze della nazione (e, soprattutto, delle proprie), tessere intrighi a corte per dividere i suoi avversari, e non disdegnava, frattanto, d’impegnarsi anche in faccende frivole; non meravigli, dunque, che scrisse di suo pugno a Biancolelli.
Fece anche di più, pregò il letterato Jean de Santeul di pensare un motto latino per Arlecchino, quel Santeul che pare sia l’inventore del motto: «castigat ridendo mores»: ridendo corregge i costumi; esclusi, ovviamente, quelli alquanto censurabili di Mazarino.
Biancolelli ebbe un successo travolgente, proponendo un Arlecchino in una versione ingentilita e stilizzata, adatta ai gusti francesi, ma fedele allo spirito originario della maschera.
L’attore italiano, anche per superare le difficoltà linguistiche, puntò molto sulle caratteristiche mimiche del personaggio: servo ladro, bugiardo, ruffiano, e sempre in lotta con la fame.
Eppure a quel grande interprete verrà attribuita l’origine di una delle locuzioni più desolanti per un teatrante, ovvero: “fare fiasco”. Accadde che, Biancolelli, una sera, improvvisando un immaginario dialogo con un fiasco, non riuscì a divertire il pubblico che lo fischiò, e allora l’attore, stizzito, rivolto in scena al compagno di vetro, gli disse: “È colpa delle tue battute, se non siamo piaciuti!”.
Ma qui s’inserisce un piccolo giallo.
Quella sera, nelle vesti di Arlecchino, si esibiva Biancolelli oppure un altro attore?
Secondo alcune voci, Biancolelli in quello sfortunato spettacolo, si fece sostituire da un compagno d’arte (non proprio bravissimo) per correre ad un appuntamento galante, senza cavarne, però, alcun piacere, perché, vuoi per la fretta, vuoi per l’ansietà dell’assenza dal teatro, fallì il momento erotico.
Insomma, anche in quel piccante caso, si ebbe... un fiasco.
Quell’espressione, infatti, si usa oggi come segnale di insuccesso anche aldilà della scena teatrale; e, a maggior scorno di Biancolelli, in molte lingue: in francese, “faire fiasco”; in tedesco, “fiasko machen”; in inglese, “a fiasco”...
E se, invece, quella sera, sul palcoscenico, ci fosse stato proprio Biancolelli, il quale, per scansare pettegolezzi sul suo mancato successo d’alcova, avesse egli stesso messo in giro quella frottola della sostituzione?
Sia come sia, vista la grandissima diffusione internazionale di quella avvilente locuzione da lui derivata, gli è andata male lo stesso.
Ancora una volta, era proprio destino!, si può dire che... ha fatto fiasco!
Grazie, grazie, troppo buoni. Basta applausi…. Ma che ora s’è fatta?... ‘azzo!… s’è fatto tardi… domattina ho una sveglia terribile, devo alzarmi per mezzogiorno… ‘Notte… buonanotte a tutti.
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