Un bar notturno dove gli avventori si conoscono tutti fra loro. Più per nome che per cognome.
Da un vecchissimo juke-box in fondo alla sala,
provengono le note della canzone che vi aggrada.
In Primo Piano, Adolgiso parla con i suoi amici di sempre, sfaccendati o peggio.
Anni fa per Radio Rai scrivevo un programma con la finalità d’illuminare aspetti meno noti di certi episodi della storia e della cronaca. Pezzi brevi, 2’ o 3’00”, recitati da Giancarlo Cortesi su musiche di Guido Zaccagnini.
Come?... recitare io adesso quella storia?... non se ne parla proprio… visto che ora è?... mi offrite una birra alta?... se è così, non posso rifiutare. Allora ascoltate.
Il 22 maggio del 1498, Girolamo Savonarola, arrestato con due seguaci - Frà Silvestro da Firenze e Frà Domenico da Pescia - venne giudicato da un Tribunale civile con due commissari apostolici, e condannato a morte; si andò per le spicce: appena il giorno dopo i tre furono impiccati e poi anche bruciati, tanto per andare sul sicuro.
La riabilitazione avverrà 500 anni dopo, allorché la Chiesa dichiarerà il frate: “Maestro di vita”.
Tanto, ormai era fatta.
Savonarola, nacque a Ferrara nel 1452. A ventitré anni, in seguito ad un sogno simbolico, decise per la vita claustrale nel convento di San Domenico a Bologna. Poi, lettore nel convento di S. Marco a Firenze, cominciò la sua carriera di predicatore reclamando il castigo e il rinnovamento della Chiesa. Dopo soste in varie città italiane, rientrò a Firenze per l’insistenza di Pico della Mirandola, insistenza importuna quant’altre mai, visto il tragico epilogo del soggiorno fiorentino del grande domenicano.
A Firenze, nonostante la Signoria gli avesse intimato di sospendere le prediche, ed i mercanti lo odiassero temendo di essere trascinati in un conflitto con il pontefice, Girolamo accentuò i suoi toni d’intransigente severità morale.
Intorno a lui, si formò un gruppo di seguaci, chiamati Piagnoni, per la loro professione di austerità.
Savonarola fu arrestato il 19 aprile e rinchiuso in un luogo detto Alberghettino, pessimo alloggio, trattandosi di una minuscola, fetida, cella sotto Palazzo Vecchio e lì trascorse i suoi ultimi trentatré giorni, mentre i Piagnoni, tenuti lontani dagli armigeri, digiunavano, pregavano e si attristavano.
Fra questi, uno dei più giovani e dei più addolorati fu Mariano da Serravalle, il quale non riusciva nemmeno a raccogliersi in preghiera e trascorreva ore col volto rigato dalle lacrime.
Quando l’esecuzione ebbe termine e i corpi dei giustiziati due giorni dopo erano soltanto cenere, Mariano, fu visto precipitarsi sul luogo del supplizio, tuffare le mani in quelle polveri... smuoverle e quale non fu la sorpresa dei presenti nel sentire quel tale esplodere in una lunga e fragorosa risata.
Era accaduto che il dolore aveva sconvolto fino alla follia quella mente, umiliandola in una risata davanti alle ceneri di un uomo che già nel proprio nome conteneva la tragedia che avrebbe vissuto: infatti, l’anagramma di Girolamo Savonarola è: saliva al rogo romano...
Grazie, grazie, troppo buoni. Basta applausi…. Ma che ora s’è fatta?... ‘azzo!… s’è fatto tardi… domattina ho una sveglia terribile, devo alzarmi per mezzogiorno. ‘Notte… buonanotte a tutti.
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