Un bar notturno dove gli avventori si conoscono tutti fra loro. Più per nome che per cognome.
Da un vecchissimo juke-box in fondo alla sala,
provengono le note della canzone che vi aggrada.
In Primo Piano, Adolgiso parla con i suoi amici di sempre, sfaccendati o peggio.
Scommettiamo un Campari che ho scovato il peggiore imitatore di Dante… beh, non l’ho proprio scoperto io, ma adesso l’ho letto, sia pure in ritardo, e mo’ ve ne parlo. Si chiamava Federico Frezzi, era di Foligno, visse nel Trecento; temerario imitatore di Dante, ma mai volle ammetterlo, dicendo anzi che non l’Alighieri, ma proprio lui era destinato a sfidare i secoli!
Fu vescovo (e poi dicono che io ce l’ho coi preti!), l’opera sua che non fu denunciata per plagio perché allora la Siae non c’era… no, non c’erano nemmeno i Wu Ming che parlano male del diritto d’autore… si chiama “Il Quadriregio”, perché è un viaggio in endecasillabi – viaggio disastratissimo, da “turista fai da te” come dice la pubblicità - attraverso i regni dell’Amore, di Satana, del Vizio e della Virtù.
L’itinerario è impegnativo, ma – direbbe Pazzaglia – il livello è basso.
Imitatore di Dante dunque, non solitario in quest’imprudente impresa, ma chi ricorda oggi l’”Inferno” dell’Armanino, la “Leandreide” di Boccassi, l’”Anima peregrina” di Sardi, la “Visione” di Giambino d’Arezzo, il “Giudizio Finale” di Domenico di Napoli, il “Giardino” di Marino Yonata, la “Città di Vita” di Matteo Palmieri, e il “Dittamondo” di Fazio degli Uberti ?
Sono tutti affogati nella dimenticanza, a Frezzi non è andata meglio, e fa glu-glu nell’oblio.
Come dici?... no, macchè, non se ne parla proprio!... a quest’ora poi!... m’offri una birra alta?... vabbè… pochi esempi soltanto eh?... poi me ne vado a nanna…
Nel suo “Quadriregio”, a guidare Dante, al posto di Virgilio, si trova Minerva e giunta alle porte dell’Inferno dove Il Poeta legge:
Per me si va nella città dolente
l’incolpevole Minerva, poverina, è costretta a dire anticipando il ritratto della topa che pitterà Courbet secoli dopo:
Voi che salir volete su l’altura
E che volete uscir da questo fondo
Entrate dentro questa buca oscura
Qui è la via che mena suso al mondo.
Caronte? Dante lo descrive in un solo terribile verso:
Caron dimonio, con occhi di bragia.
Il Frezzi, invece, naufraga nell’inchiostro:
E ciascun occhio ch’egli avea in testa
Parea come di notte una lumiera
O un falò quando si fa per festa.
E allorché l’Alighieri non sa che in certi alberi sono incarcerate le anime dei suicidi, e Virgilio per farglielo capire lo invita a strappare un ramo, la terzina dantesca risuona:
Allor porsi la mano un poco avante
E colsi un ramoscello d’un gran pruno
E il tronco suo gridò: Perché mi schiante?
Il Frezzi, nell’identica scena, come imbratta il foglio?
A quelle frasche stesi su la mano
E d’una vetta un ramoscel ne colsi
Allora ella gridò: Oimè! fa piano.
Ricordate l’incontro di Dante con Sordello? Il Divin Poeta scrive:
Ed abbracciollo ove il minor s’appiglia
il presuntuoso imitatore, quasi evocando una tecnica di wrestling, così verseggia:
Il collo poi mi strinse con le braccia.
Mi viene da rispondergli:
Il collo poi ti strinse colle braccia?
Ah, Se l’avesse stretto a dieci dita!!
Che ora è?…’azzo! s'è fatto tardi…domattina ho una sveglia terribile, devo alzarmi per mezzogiorno. Vado via. Ci vediamo domani sera. 'Notte!
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