Un bar notturno dove gli avventori si conoscono tutti fra loro. Più per nome che per cognome.
Da un vecchissimo juke-box in fondo alla sala,
provengono le note della canzone che vi aggrada.
In Primo Piano, Adolgiso parla con i suoi amici di sempre, sfaccendati o peggio.
Scommettiamo un Campari che ho scritto tanti anni fa un giallo quando non andava di moda?… mica come adesso dove gli italiani si sono scoperti a un tratto tutti scrittori di gialli. Il numero dei giallisti, oggi, rischia di essere superiore a quello degli evasori fiscali… quella mia lontana cosa la scrissi…1984?... 1985?... purtroppo non ricordo con precisione, su invito di Lamberto Pignotti per una piccola antologia che girava tutta intorno alla figura di Don Giovanni… ricordo che il mio nome appariva insieme con quello di Lamberto, Dacia Maraini, Edoardo Sanguineti… roba grossa. La recitò per primo Alfio Petrini. Poi, per due ‘estive’ la Compagnia “La mosca al naso” usandolo come intermezzo. E’, infatti, una sorta di ‘corto’ teatrale.
Il personaggio in scena è Slim Callaghan (detective privato ideato da Peter Cheyney, padre anche di Lemmy Caution), impegnato in un'indagine che io stesso gli affido: sapere chi è Don Giovanni. Callaghan, più tonto del suo nuovo autore, non s’accorge di fare un'inchiesta letteraria e, trascorrendo fra personaggi di cellulosa, racconta la vicenda con il linguaggio dei "duri", tipico delle pagine hard boiled.
Riuscirà a sbrogliare la matassa?...
Come dite?... leggerlo?!... no, è tardi. Sarà per un’altra volt… m’offrite una birra alta?... vabbè… non posso rifiutare.
BEL COLPO CALLAGHAN!
intermezzo in 5 strisce
NOTE DI REGIA
Slim in scena indossa un impermeabile bianco da troppo tempo non lavato; in testa, un cappelluccio dalle falde corte.
Mani sprofondate spesso nelle tasche. Voce arrochita dall’alcool e dalle sigarette.
- La scena è un fondale tutto giallo con al centro un largo semicerchio contornato di rosso, è insomma la classica copertina dei famosi “gialli Mondadori”.
Dietro quel cerchio agisce Slim, illuminato da luci che evolvono e dissolvono a inizio e fine episodio...
- Per le musiche: qualche lento di Elvis Presley.
Forse “Love me tenderly”, forse “Summer Love”.
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VOCE FEMMINILE FUORI CAMPO
(Al buio mentre le luci in resistenza illuminano la scena. In S.F. la voce di Elvis Presley)
- Slim Callaghan è un detective nato dalla penna del giallista inglese Peter Cheyney, ex investigatore privato poi giornalista e romanziere, nacque nel 1896 e morì nel 1951.
E’ autore anche del celebre investigatore Lemmy Caution.
(Le luci illuminano ora pienamente Slim immobile. Sfuma la canzone di Elvis Presley.
Solo allora l’attore si muove ad animare quella che sembrava una fotoriproduzione)
SLIM – (lentamente, come a constatare amaramente di esistere, purtroppo per lui)
Sono Callaghan... Slim Callaghan... professione: investigatore privato... privato... privato sì, ma del lavoro!
Così mi dicevo quella sera nel mio ufficio pensando ai clienti che non bussavano alla porta, né facevano squillare il telefono da tanto tempo... da ben prima che non pagassi l’ultimo affitto e l’ultima bolletta, cioè vale a dire... da molto tempo!
(si vivacizza appena un po')
Per scollarmi di dosso la tristezza uscii e m’infilai nell’unico bar dove mi facevano ancora credito, e ordinai il mio solito gin fizz che a me piace con molto gin e niente fizz.
Là certa gente faceva cagnara intorno a uno che festeggiava una vincita modesta al totonero... lo conoscevo quello lì e non mi stava simpatico.
Si chiamava Adolgiso, uno scrittore che viveva d’espedienti letterari.
E letterali, naturalmente.
Gli lanciai un’occhiata di traverso per fargli capire che lo gradivo quanto un diretto di Mike Tyson al mio plesso solare.
Lui scese dal trespolo e venne verso di me.
Doveva aver bevuto, come al solito. E parecchio, come al solito.
Sperai volesse attaccar briga dandomi la possibilità d’offrirlo come cliente al pronto soccorso notturno, ma avvicinatosi mi disse con voce strascicata: “Devi aiutarmi Slim. Mi sono cacciato in un pasticcio”... mi allungò un biglietto, c’era scritto: Giovanni Tenorio detto Don Juan.
Quel nome mi ricordava solo un allibratore spagnolo che di recente era stato un po' freddo con me: perché stava da 36 ore sul marmo dell’obitorio con un cartellino appeso all’alluce destro.
Il secondo biglietto che mi allungò Adolgiso fu più comunicativo: un biglietto da cento, ed era - mi disse - solo un anticipo.
Commosso, mi predisposi ad un ascolto che già immaginavo penoso; per mandarlo giù meglio, ordinai, a spese di quel tale, un gin fizz che a me piace con molto gin e niente fizz... ma questo ve l’ho già detto.
“Voglio sapere chi è effettivamente questo personaggio, questo Don Giovanni Tenorio detto Don Juan - disse il mio nuovo, ed unico, cliente - Devo buttare giù quattro cartelle per un giornale e non so dove andare a parare. Fammi sapere che cosa si cela dietro di lui, quale metafora nasconde...” .
Fummo interrotti dall’arrivo di un’amichetta di Adolgiso, sua degna compagna: doveva averne sniffato un vagone: agitata, occhi lustri, tirava su dal naso ogni tre secondi.
“Raffreddata, eh?”, dissi ironicamente.
La sua risposta non fu proprio da educanda. Infatti mi abbaiò: “Fatti i cazzi tuoi !”
Seguii il consiglio.
Uscii.
Fuori l’aria era fredda, alzai i baveri dell’impermeabile, accesi una Camel e me ne andai a casa.
A Don Giovanni Tenorio, detto Don Juan, avrei pensato l’indomani.
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Le luci dissolvono mentre Presley va in PP.
...love me tenderly, love me soft...
Poi le luci risalgono in resistenza sul semicerchio dove si trova Slim e la canzone dissolve.
Così anche per gli altri stacchi che seguiranno
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Fu un musicista di terz’ordine, di origine tedesca, che suonava il piano in un locale a luci rosse, “Il flauto magico”, da lui stesso gestito, a darmi la diritta che mi permise d’imboccare una certa pista.
Quel musicista - diciamolo così più per intenderci che per qualificarlo - quel musicista, dicevo, non ho mai capito se si chiamasse Wolfgang oppure Amadeus, ma forse entrambi i nomi erano falsi e chissà che tipo di storia si celava dietro quel suo doppio nome usato forse per nascondersi meglio... così fan tutte... queste creaturine immigrate dalla coscienza sporca !
Insomma Wolfgang, o Amadeus, o come diavolo si chiami, mi soffiò qualche nome.
Cominciai da un certo Leporello, lo pizzicai in un’osteria e me lo lavorai.
Volevo da lui i nomi delle sgàrzole di quel Don Giovanni. (Sorridendo compiaciuto)
Dovette scambiarmi per uno di madama, perché disse: “Madamina, il catalogo è questo”.
Sbirciai la lista: ne aveva sbattuto di pupe quel tipo: in Italia 640, in Almagna 231, 100 in Francia, in Turchia 91 e in Ispagna - notai - 1003!
Potevo mai fare il giro di tutta quella manica di donnine?
Certo che no Slim, mi dissi, manco la buoncostume al completo ci riuscirebbe!
Confidando nella mia buona sorte, ne scelsi due a caso.
Per prima toccò alla pescatrice Tisbea.
Mollai Leporello.
Fuori dell’osteria l’aria era fredda, alzai i baveri dell’impermeabile, accesi una Camel e m’incamminai.
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La pescatrice Tisbea era una di quelle svèntole che non si scordano.
Non si fece pregare troppo per parlare e m’offrì pure un’ostrica.
Di Don Giovanni Tenorio, detto Don Juan, aveva un pessimo ricordo.
Seppi da lei che all’epoca della tresca gli aveva anche rivolto un verso che faceva così: molte cose dite quando non parlate, ma, presto scoprii che quelle parole poetiche non erano proprio un complimento... volevano dire ch’era meglio lo spagnolo tacesse perché era una frana a sentirlo.
“Don Giovanni” - si accalorò la mia sirena, mentre eviscerava una spigola – “deve la sua fama solo alla scrittura di Tirso di Molina che ne fece col suo stile il simbolo della corruzione licenziosa di tutta un’epoca”.
Poi la pescatrice, forse per deformazione professionale, mi sussurrò all’orecchio: “Nella vita era un baccalà”.
Dopo questa ittica battuta tacque ed io mi sentii rimescolare il sangue a vederla trafficare con le mani su di un pesce, e per evitarmi un processo per violenza carnale, decisi d’andarmene e così feci.
Volevo incontrare adesso una tizia chiamata Zerlina.
Fuori della pescheria l’aria era fredda, alzai i baveri dell’impermeabile, accesi una Camel e mi mossi.
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Zerlina era sposata con un certo Masetto, abitavano in periferia.
Ci arrivai di notte e dalla loro casa a pianterreno sentii provenire gemiti e colpi.
Impugnai la 38, sbirciai attraverso una persiana e vidi cose da film vietato ai minori: lei, nuda, i polsi legati al letto, mentre lo sposino le lavorava la schiena a cinghiate muovendo il braccio come un driver di trotto al rush finale.
Ansimando di piacere lei diceva Batti batti o bel Masetto la tua povera Zerlina / starò qui come agnellina le tue botte ad aspettar.
Con un calcio spalancai la porta e piombai sui piccioncini.
Vi risparmio i particolari.
Vi dirò soltanto che la pervertita signora, in risposta alle mie domande, piangendo confessò che Don Giovanni doveva tutto alla penna di un italiano, un certo Lorenzo Da Ponte che ne aveva fatto col suo stile il simbolo d’una umanità inquieta ed estrosa, perché lui, Don Giovanni, in realtà era più deprimente d’una emicrania e più noioso d’una lezione televisiva sui sulfamidici. E lei, fuori delle pagine della storia che aveva avuto con lui, manco d’uno sguardo l’avrebbe mai degnato, fosse stato pure il solo paio di calzoni in giro su questo dannato pianeta chiamato Terra.
Andai via e sentii che avevano ripreso il loro lavoro.
Lei godendo strillava Lascerò straziarmi il crine, lascerò cavarmi gli occhi / e le care tue manine lieta poi saprò baciar.
Tutti i gusti son gusti, pensai, ma quella scena m’aveva lasciato le labbra secche e la lingua come carta assorbente e insomma necessitavo di un gin fizz che a me piace con... vabbè, lo sapete già.
Fuori di quella casa l’aria era fredda, alzai i baveri dell’impermeabile, accesi una Camel e misi in moto le fette.
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Per un giorno intero, fra un bicchiere e l’altro, trafficai duro col mio cervellino sulle parole delle due pupe concordi nel definire Don Giovanni un buono a nulla, ciascuna rimandando allo stile d’uno scrittore il merito dell’interesse suscitato nel mondo da quella canaglia.
Ora sapevo dove andare, anche se il luogo non era dei più rassicuranti, uno dei posti più abietti della città: la Biblioteca Nazionale.
Siete mai stati laggiù?... no?... avete fatto bene!
E’ un incrocio fra il carcere ed il manicomio, infatti ci stanno rinchiusi autori d’ogni risma e paese, ciascuno con le proprie storie più nere dell’inchiostro.
Gli uscieri sono ceffi reclutati fra i peggiori fuorusciti dalle frontiere dei concorsi comunali e hanno per Direttrice una tipa che se quel talentscout di zio Adolfo coi baffetti a spazzolino l’avesse conosciuta in tempo, l’avrebbe messa a dirigere un lager!
Lì è possibile incontrare solo quattro reclusi per volta, ma con una buona mancia ottenete ciò che volete...
Sul registro bisunto scelsi dei nomi di autori lì detenuti che sapevo avevano incontrato Don Giovanni in più d’un angolo di carta della loro opera criminale e passai il fogliettino a uno sciancato custode che mi guatò con il solo occhio che aveva ma che ben trasmetteva da solo anche l’odio dell’altro faro mancante.
Ve la faccio corta.
Parlai infine con quei tipi che, lì dentro da secoli, avevano in passato trafficato con il mio angioletto, detto Don Juan.
Ciascuno, secondo il proprio sporco stile, mi fornì, un diverso ritratto di quel bastardo d’uno spagnolo.
Per un inglese dall’aria affranta di nome Byron, Don Giovanni era un seduttore sedotto.
Per un russo tabaccoso, tal Puskin, era un romantico spadaccino.
Per un certo Giovanni di Zamora, era un allegro spaccone.
Per quell’ubriacone del tedesco Hofmann, era un tipo anticlassico e faustiano.
Per il bigotto Unamuno, era una giovane forza esistenzialista.
Per il famigerato Josè Ramirez Ruiz, detto Azorin, era solo un tipo paterno e vecchio.
Per il misogino Bernard Shaw, era un perseguitato dalle donne.
Per i pittoreschi e tonti fratelli Quinteros, era proprio un galantuomo e basta.
Per l’allucinato Lenormand, era soltanto uno spiritista.
Per Apollinaire che farneticava agghindato come un ex combattente al raduno, era un simultaneista.
E mi fermo qui perché ho la gola secca e voglio proprio un goccetto.
A dire la verità avrei parlato volentieri anche con un certo Moliére, ma era morto - mi dissero - mentre recitava la quarta replica del suo “Malato immaginario”. Altro che immaginario, pensai, quello lì un po' maluccio doveva starci per davvero se ci aveva così lestamente rimesso le cuoia!..
Però, anche senza Moliére, ora sapevo la verità. (lentamente, ragionando)
Don Giovanni, nascosto a lungo, nei bassifondi della creazione orale dove era nato, una volta diventato Scrittura, era clandestinamente emigrato nel paese dello Stile e proprio dello stile era diventato metafora facendone uno sporco traffico... lo stile!... quello stile che intossica e danna tanti sciagurati scrittori che ne diventano dipendenti lungo nere piste d’inchiostro sprofondando in un destino infernale! (sospirando) Lavoro concluso Slim, mi dissi, e tristemente pensai che ora avevo tanti impegni da poterli scrivere su di un coriandolo!
Bel colpo, Callaghan!
Non mi restava che spiattellare quanto avevo scoperto ad Adolgiso, sperando di trovare lui e la sua ganza meno fatti del solito, nel solito bar...
Fuori della Biblioteca Nazionale l’aria era fredda, alzai i baveri dell’impermeabile, accesi una Camel e mi avviai.
(PP di Presley, le luci dissolvono mentre Slim volta le spalle al pubblico
e si allontana andandoincontro alla sua prossima avventura)
F I N E
…Grazie per gli applausi …grazie, troppo buoni.
Ma che ora s’è fatta?... ‘azzo, s’è fatto tardi… domani ho una sveglia terribile, devo alzarmi per mezzogiorno… ‘notte… buonanotte a tutti.
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