Un bar notturno dove gli avventori si conoscono tutti fra loro. Più per nome che per cognome.
Da un vecchissimo juke-box in fondo alla sala,
provengono le note della canzone che vi aggrada.
In Primo Piano, Adolgiso parla con i suoi amici di sempre, sfaccendati o peggio.
Scommettiamo un Campari che non conoscete la storia del giornalista Charles Douxerv?... mi piace vincere facile?... può darsi. La raccontai anni fa a Radio Rai, dove scrivevo un programma con la finalità d’illuminare aspetti meno noti di certi episodi della storia e della cronaca. Pezzi brevi, 2’ o 3’00”, recitati da Giancarlo Cortesi su musiche di Guido Zaccagnini.
Come?... recitare io adesso quella storia?... non se ne parla proprio… visto che ora è?... mi offrite una birra alta?... se è così, non posso rifiutare. Allora ascoltate.
Il 6 dicembre del 1922, Charles Douxerv, giornalista de L’écho de Versailles, pubblicò quello che oggi chiameremmo uno scoop. In una vineria, da frasi raccolte da una donna, sospettò che costei avesse vissuto qualche storia un po' misteriosa. Ci entrò in confidenza, vieppiù convincendosi che a Iréne Nash, questo il suo nome, fosse accaduto un tempo proprio qualcosa di singolare; Iréne vestiva poveramente, era avanti negli anni, grassoccia, occhi acquosi e malinconici, voce arrochita dal tabacco e dall’alcool... Douxerv, finalmente, un giorno, ne ascoltò la storia.
Molti anni addietro alla vigilia di Natale del 1899, un colpo di vento le aveva fatto volare il cappellino lestamente raccolto da un signore parecchio più giovane di lei, e, dopo alcune frasi di reciproca simpatia, i due decisero di bere un latte caldo per trattenersi ancora insieme.
Si conobbero meglio: lui era un ricco possidente e lei, allora, una ricercatissima maestra di ricamo, proprietaria d’una casa ereditata dai genitori da poco scomparsi.
Il giovane non mancò di rivolgerle garbate parole galanti che furono molto gradite.
Cominciarono a frequentarsi. Iréne s’era innamorata di quell’uomo, e lui si disse altrettanto di lei.
Un giorno, durante una visita nella villa di Gambais del fidanzato, questi le chiese di sposarlo.
Lei, felice, mentre si dava a progetti per il futuro, inaspettatamente, notò una progressiva freddezza da parte del promesso sposo che disertò più di un appuntamento, nei sempre più rari incontri si mostrava distaccato e formale come un estraneo, fino ad eclissarsi del tutto.
Invano Iréne chiese il motivo di quella separazione che la precipitò in una cupa disperazione.
Passava notti insonni, smise di lavorare, fu costretta a vendere la propria casa, dilapidò la somma ricavata tentando di distrarsi con il gioco, prese a bere e, negli anni, precipitò così in basso, da finire, per tirare avanti, inserviente di una prostituta, poi, da questa scacciata perché trovata spesso ubriaca, viveva ora pressoché di elemosina, ospitata in un istituto di beneficenza.
Insomma, una vita spezzata da un amore infelice. Una storia come tante, ma... c’era una particolarità in quella sciagurata vicenda. L’uomo, causa di tanta rovina, era stato giustiziato a Versailles poche settimane prima: si chiamava Henri-Désiré Landru; nella sua villa di Gambais aveva ucciso un ragazzo e dieci donne le quali, dopo promessa di matrimonio, erano state strangolate e poi bruciate, come testimoniavano ossa e denti calcinati scoperti nella villa nota come “quella delle undici vittime”.
Perché Landru non aveva ucciso anche Iréne?
S’era innamorato di lei e volle salvarla?... Oppure le preferì un bersaglio per lui più sicuro?
“Sono ancora viva” - concluse la donna - “ma non posso dire che Henri mi abbia risparmiato la vita”.
Difatti, in modo incruento ma terribile, era stata distrutta anche lei da quel carnefice.
Douxserv pubblicò l’articolo intitolandolo: “La dodicesima vittima”.
Grazie, grazie, troppo buoni. Basta applausi…. Ma che ora s’è fatta?... ‘azzo!… s’è fatto tardi… domattina ho una sveglia
terribile, devo alzarmi per mezzogiorno… ‘Notte… buonanotte a tutti.
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