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Un bar notturno dove gli avventori si conoscono tutti fra loro. Più per nome che per cognome.
Da un vecchissimo juke-box in fondo alla sala,
provengono le note della canzone che vi aggrada.
In Primo Piano, Adolgiso parla con i suoi amici di sempre, sfaccendati o peggio.

 

Succede ogni sabato

Scommettiamo che ho lavorato a braccetto con Giacomo Leopardi?...non ci credete?...e invece sì, ho riscritto "Il sabato del villaggio", mica male no?…non ricordo se fu nel 1985 o nell'86. Quel lavoro fu trasmesso da Radio Rai nella rubrica "I Pensieri di King Kong". L'interpretò Dario Penne, un attore col quale ho lavorato spesso e che chissà quante volte lo avete sentito al cinema perché ha doppiato il professore matto di "Ritorno al futuro", "Dracula" di Coppola e un'infinità d'altri ruoli protagonisti. Ma torniamo a quella mia lontana composizio…sarebbe meglio di no?...certo che a gentilezza stati messi proprio male!...
Quella famosa poesia di Leopardi, la riscrissi con la tecnica dell'antinomia. Vale a dire usando parole e concetti di senso contrario rispetto al testo originale. Operazione non necessariamente parodistica, anche se qualche conseguenza è fatalmente tale. Niente di male, un letterato finissimo, si chiama Guido Fink, ha praticato proprio la parodia come letteratura e ha scritto sulla letteratura come parodia. La mia intenzione, però, non era, di scoronare uno scritto celebre, ma di esplorare quanto quel testo già contiene, o potrebbe contenere, impiegando vocaboli, stile e ritmo dell'autore citato (o preso di mira, fate voi), capovolgendone i significati originari; aprendo cioè lo scrigno del linguaggio, rovesciandone, senza dispetto, per terra i contenuti. Antinomia: dovete sapere che fior di studiosi ci hanno scritto su questa tràstula: Bachtin, Dubois, Lyons, e altri.
Forse a Leopardi non va giù, ma il mio "Sabato del villaggio" gli appartiene. Quella nuova versione l'ha scritta lui con me; in quell'inversione di narrazione e atmosfere, c'è una stretta relazione di reciprocità fra la prima produzione e la mia post produzione. Perché il recanate è un grandissimo poeta ma non può certo essere definito un allegrone, e quando canta serenità o contentezza, autorizza più di un dubbio sulla sua sincerità; e se evoca luci radiose poi zac! il suo pensiero va un verso dopo subito a quelle del crepuscolo. Maggiore perfidia sarebbe stata operare al contrario, e farlo apparire come uno scanzonato giovanotto. Perfidia, comunque, sempre benvenuta…
Come?…nooo!…non se ne parla proprio…e poi a quest'ora!...neanche per idea…non la leggo nemmeno se…come?...una birra alta?...e vabbè, avete vinto…ecco qua.

 

Il sabato del villaggio

La donzelletta vien dalla campagna
in sul calar del sole,
col suo fascio dell’erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e di viole,
onde, siccome suole
ornare ella si appresta
domani, al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
su la scala a filar la vecchierella,
incontro là dove si perde il giorno,
e novellando vien del suo buon tempo,
quando ai dì della festa ella si ornava,
ed ancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei
ch’ebbe compagni dell’età più bella.
Già tutta l’aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre
giù da’ colli e da’ tetti,
al biancheggiar della recente luna.
Or la squilla dà segno
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
su la piazzuola in frotta,
e qua e là saltando,
fanno un lieto rumore:
e intanto riede alla parca mensa,
fischiettando, il zappatore,
e seco pensa al dì del suo riposo.
Poi quando intorno è spenta ogni altra face,
e tutto l’altro tace,
odi il martel picchiare, odi la sega
del legnaiuol, che veglia
nella chiusa bottega alla lucerna,
e s’affretta, e s’adopra
di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.

Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l’ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno.

Garzoncello scherzoso,
cotesta età fiorita
è come un giorno d’allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo’; ma la tua festa
ch’anco tardi a venir non ti sia grave.

La vecchierella va sulla montagna,
quando su nel ciel appar la luna,
nulla con sé recando; e col calzare
scansa le spine e gli aspri rovi,
non curandosi delle rose e delle viole
poiché ella omai non più s'agghinda:
per lei non c'è più festa né domani.
Saltella con delle sconosciute
la donzelletta giù per la discesa
quasi a fuggir la luce del tramonto,
muta, smemorando le sue ore,
le notti disadorne e i pianti suoi,
già guasta e grassottella
ché non conosce carezze né altre ciance
godute nella solinga età che vive.
Ecco ridente in cielo
spunta la bella aurora,
rischiarando valli e pietre delle vie
col rosseggiare dell'antico sole.
Qui nel silenzio senza campane o voci
non c'è festa che avanzi;
e a quella inquieta calma
l'anima di sé si discolora.
I vecchi, muti,
sulla scala, ognuno solitario per sua sorte,
immobili ristanno
silenziosi come dimore estreme:
solo uno va al ghiotto desco suo,
gorgheggiando vanesio: il gran signore,
ché fa d'ogni or della sua vita una vacanza.
Ora la luce è proprio forte in cielo,
s'ode una squilla,
poi l'ombra del silenzio lì ritorna:
non picchia il martel, né stride sega,
il fabbro sull'uscio della casa in ombra
immobile sta lì senz'adoprarsi
pare ch'aspetti solo il suo tramonto.

 

Dell'anno intero che dì funesto è questo
spoglio di speme e canti:
né diman ci saran lusinghe o feste
pur anco l'ore rimembrate liete
andranno senza più fare ritorno.

 

O vecchierello mio canuto e stanco
cotesta età avvizzita
è come notte d'allegrezza vuota
notte profonda, cupa
che precede la fine della vita.
Soffri, vegliardo mio; amaro stato
cotesta ultima stagion dell'esistenza.
Tanto altro da dire ci sarebbe; ma che la fine
presto ti raggiunga è il solo augurio.

 

 


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Per riprodurli, due congiunte condizioni: citare l'autore e la sigla del sito.

 

 

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