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Un bar notturno dove gli avventori si conoscono tutti fra loro. Più per nome che per cognome.
Da un vecchissimo juke-box in fondo alla sala,
provengono le note della canzone che vi aggrada.
In Primo Piano, Adolgiso parla con i suoi amici di sempre, sfaccendati o peggio.

 

Il tamburino di Rembrandt

 

Scommettiamo un Campari che non conoscete tutta la storia di un famoso quadro di Rembrandt?
Io sì. La raccontai anni fa a Radio Rai dove scrivevo un programma che aveva la finalità d’illuminare aspetti meno noti di grandi episodi. Meno noti o perché ritenuti di scarso significato oppure perché di dubbia verità. Pezzi brevi (2-3’) recitati da un attore su musiche di Guido Zaccagnini.
Recitarvela adesso?... non se ne parla proprio… visto che ora è?... m’offite una birra alta?... se è così non posso rifiutare. Allora ascoltate.

 

L’11 ottobre 1642, ad Amsterdam, Jan van Kampoort, provò una grande emozione. Quel giorno, infatti, vide per la prima volta l’opera di Rembrandt “La Ronda di notte”, da poco terminata, dove lui era effigiato come tamburino della Compagnia di archibugieri del Capitano Frans Banningh Coq, immortalato al centro della tela, attorniato da molte figure di cui si sa il nome di diciotto di loro.
Jan, nella sala grande del Kloveniersdoelen, dove il dipinto era stato esposto, si ammirò sul margine destro dell’inquadratura accanto agli altri personaggi di quella importante Corporazione, inorgogliendosi al vedersi vicino non solo al Capitano Coq, ma anche al Luogotenente, al portabandiera, agli ufficiali, ai sergenti e ad altri importanti personaggi.
Nei giorni successivi, Jan, allegro e fiero, trascinò familiari ed amici davanti a quell’opera della quale il trattatista van Hoogstraten disse: “La Ronda è così grandiosa che tutti gli altri dipinti posti accanto, figurano come carte da gioco”.
Il tamburino Jan van Kampoort, in quel 1642, non sapeva, però, che proprio una Ronda notturna gli sarebbe stata fatale.
Una notte di anni dopo, infatti, una guardia della ronda del Capitano Engelen, un certo Nicolaes lo aggredì (forse perché ubriaco o, forse, per vecchi rancori), Ian, difendendosi lo uccise, ma i commilitoni di Nicolaes, gli si precipitarono addosso e con le loro spade lo fecero a fette.
Quei tagli mortali non furono i soli che ebbe a subire il tamburino Jan. Altre lame lo attendevano.
Nel 1715, il dipinto fu trasferito nella piccola sala della Corte Marziale (ora Palazzo Reale), ma non si riusciva a collocarlo nel posto assegnato, ovvero tra due porte. Gli incaricati dell’installazione non si persero d’animo e mutilarono la tela di circa venticinque centimetri, asportando parte del pavimento sotto il piede destro del protagonista che ora sfiora il margine della tela.
E guai a lui facesse un passo, precipiterebbe fuori del quadro.
Ma non bastò.
Si pose allora di nuovo mano ai coltelli e furono tranciati circa trenta centimetri a sinistra. Riprovarono a sistemare il quadro: nulla da fare. Si rese necessario un intervento anche a destra e zac! furono tagliati circa quindici centimetri anche su quel lato. Finalmente soddisfatti, quei signori (che è bene non impegnare nei nostri traslochi), fissarono il quadro alla parete. Per effetto delle mutilazioni, scomparvero dalla tela le figure di due uomini e di una bambina dipinte sul margine sinistro e, sulla destra, il tamburino Jan van Kampoort fu orrendamente mutilato verticalmente dalle spalle fino ai calcagni inclusi, e così lo si vede ancora oggi al Rijksmuseum di Amsterdam.
Da una Ronda e nella Ronda, il destino di Jan, in vita e in effigie, era quello di essere fatto a pezzi.

 

Grazie, grazie, troppo buoni. Basta applausi…. Ma che ora s’è fatta?... ‘azzo!… s’è fatto tardi… domattina ho una sveglia terribile, devo alzarmi per mezzogiorno… ‘Notte… buonanotte a tutti.

 

 

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Epistolario, pagg. 96, free e-book padf
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