L’ospite accanto a me è Errico
Buonanno. Scrittore. Nato nel 1979, è autore di testi teatrali e
di sceneggiature per il cinema e la televisione. Con il titolo mozartiano “Piccola
serenata notturna”, suo primo romanzo, ha vinto nel 2001 la XIV edizione
del Premio Calvino per la migliore opera inedita che ora più inedita
non è perché pubblicata da Marsilio; per una scheda sul
libro cliccate su:
http://www.marsilioeditori.it. “
Piccola
serenata notturna”, è una riuscita parabola sulla
modernità, le sue ansie, i suoi limiti, visti tra le luci (o
forse le ombre) degli anni Venti, quando una sua malintesa interpretazione
condita
in slancio vitale fu tanto celebrata da diventare, come divenne, una
delle forze catastrofiche del XX secolo incoraggiando il fascismo che
della modernità ne
sposò gli aspetti più vacui ed esteriori.
Il libro, pur pensoso per la tematica che lo percorre, è scritto
in modo divertito, si pensi solo al personaggio Giacomo Lullo – protagonista
e antagonista al tempo stesso – che si dà a temerarie invenzioni
(dallo scrivere il De Bello Gallico a progettare l’ascensore) per
accorgersi poi che c’era stato chi lo aveva preceduto nelle opere.
- Benvenuto
a bordo, Errico…
- Salute a te, complanetario terrestre! Speravo di trovare un po’ di
assenza di gravità sull’astronave, per sentirmi più leggero.
Ma l’Enterprise naturalmente è attrezzatissima, anche di
dispositivi gravitazionali: ce ne staremo con i piedi per terra, allora,
e riusciremo almeno a versarci un po’ di vino nei calici. Che
proponi?
- Voglio farti assaggiare questo Gutturnio Doc Colli Piacentini di
Torre Fornello …qua il bicchiere…ecco
fatto.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne
la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi
nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole
che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione
con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Errico
secondo Errico…
- Vuoi sapere la verità? Sai perché sono salito a bordo?
Sapevo che saremmo andati più veloci della luce, e quindi più veloci
delle nostre immagini. Guarda nel cannocchiale, qui: guarda verso la
Terra. Vedi? Ci sta ancora l’immagine di me prima ancora che partissi.
E’ inebriante potersi guardare dall’esterno, liberarsi dal
peso autobiografico che nei momenti peggiori grava su tanta letteratura,
anche sulla mia. Non mi interessa lasciare traccia di chi sono io, nessuno
dovrebbe farlo, perché è un atto di superbia e basta
pensare che a qualcuno possa interessare un fico delle nostre giornate
o delle
nostre sensazioni. Io voglio inventare storie. Se vuoi ti posso raccontare
una bugia su come sono: Errico per un altro Errico. Ma forse i tuoi
avventori faranno prima ad inventarselo loro, il mio ritratto.
- Bene. E mentre almanaccano sul tuo ritratto, dà loro dei motivi
per cui consigli di acquistare, e soprattutto leggere, il tuo libro…
- Io credo, sai, che il mio romanzo sia carino. La carineria non sta
sempre al di sotto della bellezza o della perfezione: ci sono opere
che mirano
proprio ad essere “carine” e quando ci riescono sono compiute.
Nessuno dubita del valore di vecchi registi come Billy Wilder, della
genialità delle commedie di Oscar Wilde; ne guardiamo una e ci
diciamo estasiati: “Che carina!”. Ora non voglio paragonarmi
a nessun mostro sacro né dire che il mio romanzo è perfetto,
questo è chiaro! Dico solo che il mio intento – magari non
riuscito in tutto – era lo stesso. Ho tentato di parlare di Novecento,
della mitologia del moderno, e ho deciso di farlo con comicità e
leggerezza. Credo sia un romanzo divertente, coraggioso in generale
e, in qualche pagina, originale.
- Nel tuo libro corre una critica, nemmeno troppo sotterranea, alle
prime avanguardie…c’è anche una divertente scena con Marinetti…Vedi
un rapporto, e, se sì, quale, fra le avanguardie storiche e
le nuove ricerche espressive dei nostri giorni, computer compreso?
- Non avrebbe senso criticare qualcosa conclusosi quasi cent’anni
fa: che razza di rivolta stupida sarebbe? Ho amato le avanguardie, profondamente,
e l’ho fatto soprattutto per il loro fallimento prevedibile, necessario:
da ciò nasce l’ironia del libro. La caratteristica di quei
movimenti e in generale di tutto il primo Novecento era la volontà di
tagliare i ponti col passato, non tanto per aderire al presente (ché non
era certo realismo, il loro) quanto per inseguire un sogno di futuro,
per riformare Tempo, Spazio e Uomo in vista di una Nuova Era. Nell’epoca
contemporanea manca tutto questo: quando non si campa di puro citazionismo,
ossia citando la seconda guerra mondiale ad ogni nuova guerra o le vecchie
dittature ad ogni nuovo partito politico, si tenta semplicemente di applicare
con la forza i linguaggi meccanici a quelli artistici. Il risultato è scostante.
- Che cos’è secondo te che distingue il traguardo espressivo
della letteratura dalle altre forme di comunicazione artistica, oggi?
- Non credo che in letteratura si raggiungano traguardi, perché la
sua caratteristica sta proprio nella continua insoddisfazione, nel rinnegare
e riaffermare i maestri. Credo però che essa abbia dimostrato
ampiamente la sua durevolezza e necessarietà: la scultura, la
pittura, forse non sono morte ma certo sono mutate quasi fino all’essenza
(attraverso il Novecento sono diventate soprattutto illustrazione, oggettistica
industriale; cose naturalmente di pari livello artistico, ma diverse).
Di narrare però non si è mai smesso in tutto il corso della
Storia: questo è innegabile, anche se non ne conosco la ragione.
Forse il perché sta nel fatto che è l’arte meno
legata al mezzo.
- Laurie Anderson canta "Language is a virus" citando William
Burroughs che diceva "Il linguaggio è un virus venuto dallo
spazio". Segue, quindi, una domanda acconcia in un viaggio spaziale:
sei d’accordo con quella definizione? Se no, perché? E,
se si, qual è oggi la principale insidia di quel virus?
- Vada per lo spazio, come il monolito nero, come ogni altra misteriosissima
ragione della nostra evoluzione. Un virus, certamente: un organismo
autonomo, già strutturato ma disposto a mutare per sopravvivere. Ci è trasmesso
dall’esterno, da altri corpi-ospiti: Dan Sperber ha dimostrato
già analogamente le corrispondenze tra la diffusione delle idee
e quella virale... I parassiti però possono anche essere utilizzati:
lo abbiamo fatto in medicina, in gastronomia, in botanica... Bisogna
solo far sì che il virus attacchi l’organismo giusto.
Credo che in letteratura esso debba occupare e sviscerare (ammazzandole,
se
serve) le cose e non i pensieri. Molti ritengono identici i due fenomeni,
e fanno esperimenti linguistici che non solo rappresentano il contemporaneo,
ma sono anche cretini.
- E’ nella letteratura oppure in altre aree che credi ci siano i
lavori più interessanti nella ricerca di nuove modalità espressive?
- La ricerca di nuove strade è propria dei campi in crisi, e le
crisi (nel senso buono di scelte importanti da compiere) si manifestano
soprattutto all’inizio o intorno al rischio della fine di un percorso.
In questo senso le arti bambine come il fumetto e la videoart sanno essere
sicuramente molto più vitali di musica e letteratura che, antiche
e perfettamente vive nella loro mezz’età, campano spesso
d’inerzia. Il teatro, purtroppo, è troppe volte un vecchio
che si sforza di fare il giovane, con i risultati imbarazzanti di un
ottantenne in discoteca. Sperimenta, sì, ma lo fa male: non cerca
strade espressive, si richiude in se stesso. Un nonno può essere
una persona bellissima e fondamentale, di cui si sente il bisogno vivissimo,
se capisce l’importanza di essere nonno.
- Il web trasformerà o ha già trasformato la lingua?
In quale direzione?
- Il web, tra gli altri meriti, ha sicuramente riportato nella vita
quotidiana la lingua scritta. La gente si scrive lettere nel terzo
millennio: d’affari
e d’amore, addirittura. E’ una lingua spesso parallela (più che
nel web, negli sms) ma che essendo scritta non può che avere anche
un po’ di classicità: scrivendo si evitano le ripetizioni,
si può riflettere per trovare le parole giuste... La rapidità di
internet comprende insomma anche questo stadio di meditazione. Non può che
essere un fenomeno positivo, anche se dubito delle influenze immediate
che il linguaggio di un settore può avere su quello di un altro:
ci vuole tempo.
- A tutti gli ospiti di questa taverna spaziale, prima di lasciarci,
chiedo di fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa…che
cosa rappresenta quel videomito nel nostro immaginario?
- Mille lodi all’Enterprise! Io mi sono domandato sempre se Star
Trek prendesse la fantascienza come semplice pretesto oppure se, meglio
di tutti, avesse capito quale fosse l’essenza del genere. Pensa
alla tutina gialla del Capitano Kirk (L’ultima volta che l’ho
visto aveva fatto carriera: fagli le mie congratulazioni). Era così ignara
di astrofisica o meccanica, quella tutina! Kirk era l’esploratore
inglese nell’Ottocento che andava in India in smoking. Star Trek è Kipling, è fanta-esplorazione, è l’incontro
con l’altro. E questo può essere un “altro” filosofico,
letterario, cinematografico addirittura: ricordi quando nella Next Generation
l’Enterprise finisce su un pianeta fatto come la Chicago anni ’40
di un film noir? E’ fantascienza, questa? E l’Odissea, è veramente
un libro di viaggio?
- Siamo quasi arrivati a Buonànnya, pianeta di cellulosa abitato
da alieni che vivono in flashback…se devi scendere, ti conviene
prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita
la bottiglia di Gutturnio Doc Colli Piacentini di Torre Fornello…Però torna
a trovarmi, io qua sto…intesi eh?
- Tornerò sull’Enterprise in mille flashback, naturalmente.
Magari anche su quella di trent’anni fa: volevo incontrare il dottor
Spock e me l’avete pensionato!
- Vabbè, ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise:
lunga vita e prosperità!
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