L’ospite accanto a me è Guido Davico Bonino, nato a Torino nel 1938.
E’ Professore ordinario di Storia del teatro presso l'Università della sua città.
Collaboratore dell’Einaudi dal 1961 al 1978 e critico teatrale de “La Stampa” dal ’78 all’’89, ha collaborato a più riprese con la Rai.
Per un triennio (1991-93) ha diretto la sezione prosa del festival di Spoleto. Dal 1994 al '97 è stato direttore del Teatro Stabile di Torino.
Ha pubblicato varie monografie e raccolte di saggi di impianto universitario, numerose edizioni di classici italiani dal Trecento al Novecento; tradotto alcuni drammaturghi francesi da Corneille a Racine da Scribe, a Sardou, da Renard a Maeterlinck; adattato per la scena vari testi di scrittori italiani (Pratolini, Buzzati, Fenoglio), e francesi (Beckett, Duras, Perec).
Lo spunto per questa conversazione è offerto dalla recente uscita di Essere due un libro che raccoglie sei famosi romanzi – da lui scelti e commentati – che girano attorno alla figura del Doppio: il Perturbante, per Freud. Che nel 1919 così scriveva: “Il perturbante è quella sorta di spavento che risale a quanto ci è noto da tempo. Un elemento rimosso ma che ci era da sempre familiare".
Su “Essere due”, rimando a quanto scrissi in una nota di poco tempo fa in Cosmotaxi.
Qui ricordo che autori e titoli in “Essere due” sono: Chamisso (‘La prodigiosa storia di Peter Schlemihl’) – Hoffmann (‘La principessa Brambilla’) – Dostoevskij (‘Il sosia’) – Stevenson (‘Lo strano caso del Dr. Jekyll e del Sig. Hyde’) – Wilde (‘Il ritratto di Dorian Gray’) – Kafka (‘La metamorfosi’).
- Benvenuto a bordo, Guido…
- Il tema del Doppio è talmente ricco e vario nei suoi esiti espressivi, anche limitandoci soltanto alla letteratura (se guardassimo alla pittura, sarebbe d’obbligo citare decine e decine di grandi artisti, da Velasquez a Magritte) che preferisco entrare in punta di piedi in questa navicella, e affidarmi alla risaputa maestria del suo capitano… fammi tu delle domande e cercherò di risponderti.
- Va bene. Com’è consuetudine, offro ai miei ospiti qualcosa da bere prima di cominciare la nostra conversazione.
Sabrina Iasillo, luminosa sommelier dell’EnotecaBistrot Uve e Forme, mi ha consigliato d’assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo Damijan Podversic Kaplija 2003 (goccia in Sloveno) Malvasia, Tocai, Chardonnay; segnalandomi in Spacefax … leggo le sue parole… “Siamo sul Monte Calvario nel Collio Goriziano, una terra di confine. Macerazione con le bucce in tini troncoconici, originale per caso, piuttosto un maledetto punto di vista. Così sfacciato, così caldo, così nudo che l’unica cosa giusta e’ riempirne la bocca”. Fin qui Sabrina Iasillo… qua il bicchiere.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Guido secondo Guido…
- Al mio secondo anno di università, studiando da francesista, vinsi una borsa di studio estiva in Francia, che utilizzai per seguire a Grenoble dei corsi di specializzazione su Stendhal. In quella città conobbi un’americanina, studentessa in medicina a Denver, che seguiva a sua volta un seminario di psicanalisi. L’illustre docente, durante una seduta di analisi didattica, che seguivo clandestinamente, dopo avermi fatto parlare, mi qualificò come hydista, da mister Hyde. Se non sbagliava di grosso, aveva intuito che io ero interiormente doppio. In effetti ho fatto tutta la vita il mio mestiere di letterato con passione, ma ho sempre desiderato farne tanti altri, dal pittore al direttore d’orchestra, non sapendo tenere una matita in mano né suonare la scala sulla tastiera di un pianoforte…
- Nella presentazione chiarisci che le scelte operate sono state anche frutto di “motivi di mera opportunità (come la mole delle singole opere)”.
Aldilà di quest’esigenza editoriale qual è stato il principio che hai seguito nel selezionare quei sei testi?
- Quello della “variatio” cioè di offrire sei variazioni diverse su un comune tema di fondo, quello della duplicità: Schlemil è un dimidiato (gli manca l’ombra), Giglio Fava e Brambilla, due identità multiple, Goljadkin uno schizofrenico che si vede sdoppiato, Jekill un megalomane che pretende di creare scientificamente il suo altro da sé, Dorian un aspirante all’immortalità che delega la morte al proprio ritratto, Gregor una vittima della famiglia che si rifugia in un repellente insetto
- Come dicevo in apertura, Freud parla del Doppio come il Perturbante: “… rappresentazione del narcisismo primario che domina la vita psichica del bambino e dell’uomo primitivo; con il superamento di questa fase, però, da assicurazione di sopravvivenza diventa un perturbante presentimento di morte”.
Jung, invece, vede la figura del Doppio come Ombra: “… incontrare il Doppio di sé significa incontrare la propria Ombra. Porta angusta non risparmiata a nessuno che discenda alla propria profonda sorgente”.
Tu che hai studiato il fenomeno in letteratura (ma abbondantemente alla letteratura stessa s’ispirarono i due pensatori), a quale delle due posizioni ti ritieni più vicino o meno lontano? E quanto tale tuo pensiero ha influenzato le scelte in “Essere due”?
- Freud è certamente più vicino all’immaginazione letteraria in senso lato ed è stato perciò più vicino a me nel lavoro di scelta.
Ma come non essere suggestionati anche da Jung: i saggi più belli su Chamisso sono stati scritti da junghiani italiani.
- I testi che hai presentato in “Essere due” sono stati scritti durante un secolo circa. Da Peter Schlemil che è del 1814 a la Metamorfosi che è del 1916.
Dopo che ne è stato del Doppio in letteratura?
- Ha continuato ad agire profondamente su scrittori di varie letterature: la francese (Tournier e Robbe-Grillet), l’americana (Nabokov, Roth), l’italiana stessa (Calvino). A settembre Adelphi pubblica per la prima volta un romanzo stupendo di Nabokov, “Disperazione”, interamente dedicato a questo tema.
- Abbandoniamo il tema del Doppio che oggi ha in Tv una luciferina presenza nei gemelli 892 - 892 che fanno la pubblicità: devo ammetterlo, quando li vedo mi terrorizzano.
Ti chiedo ora: che cos’è secondo te che distingue – o dovrebbe distinguere – la letteratura dalle altre forme di comunicazione artistica, oggi?
- Sarebbe bello che nulla la distinguesse dalle altre forme e che al contrario si attivassero sempre più dei circuiti di intercomunicazione tra scrittori e musicisti, scrittori e pittori, scrittori e cineasti, mentre ho l’impressione che questo tipo di bifrontismo sia sempre più raro.
- Hai lavorato per molti anni nell’editoria e la sai lunga.
Qual è il rimprovero - se ne hai più d’uno, qui lo spazio è quello che è, ti chiedo di scegliere il più grave - che rivolgi all’editoria italiana?
- Lo scarso ardimento che non permette più di privilegiare la ricerca in tutte le discipline sotto l’incubo del dio-Mammone della redditività economica.
- Ma ci sono anche colpe degli autori, via ammettiamolo. Se sei d’accordo con questa mia affermazione, tu quali colpe vedi nell’autore italiano dei nostri giorni?
Oppure se non sei d’accordo, perché lo assolvi?
- Sono d’accordo, purtroppo. Alcuni dei nostri giovani talenti hanno fatto mercimonio dei loro doni di natura, invece di sacrificarli, almeno in parte, sull’altare del rigore.
- Il pubblico è innocente?
- Sono gli editori e gli autori a formare il pubblico, il quale non si plasma per partenogenesi.
- Non credere d’uscire da quest’astronave senz’aver risposto ad una domanda sul teatro.
Come spieghi che oggi – a differenza dei tempi di Carmelo Bene o Leo de Berardinis – in Italia, negli spettacoli del nuovo teatro, o sperimentale che dir si voglia, trovi pochissimo spazio la comicità?
- Quella di Carmelo e Leo era altissima ironia, che, com’è stato osservato, è una delle maschere della tragedia. La comicità, strettamente intesa, è sempre complice. Diciamo che la sperimentazione odierna è meno dotata di quel particolare senso del tragico. Oggi semmai prevale l’elegia, che quando ben praticata, è tutt’altro che da disprezzare – penso a certi spettacoli elegiaci di Pippo Delbono.
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- Annetto istintivamente ST alla fantascienza, da cui mi sono sempre tenuto lontano perché, a mio avviso, è totalmente priva di dimensione fantastica. Il fantastico scatta quando tra la realtà e qualunque dimensione “altra” (sogno, delirio, incubo, etc.) non c’è – nelle intenzioni dello scrivente – alcun apparente divario, ma tutto è rigorosamente verosimile: mentre la fantascienza propone l’alterità come reale.
- Siamo quasi arrivati a DaviBon 1, pianeta di cellulosa abitato da alieni ognuno dei quali è Doppio perché ciascuno ha un suo Avatar… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di Damijan Podversic Kaplija 2003 consigliataci da Sabrina Iasillo dell’EnotecaBistrot “Uve e Forme”… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
- Ho appena finito un altro malloppo nella stessa collezione Einaudi sui “Cento volti dell’Eros”, un’antologia di episodi amorosi celebri da altrettanti romanzi dell’età moderna, dal 700 al primo 900. Non so se sia un tema da astronave, ma se mi vorrai, sarò felice di risalirci.
- Qui nello Spazio, fra aliene e alieni allupatissimi sarà una gioia ascoltarti.
Per ora ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
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