L’ospite accanto a me è Francesca Mazzucato. Scrittrice, traduttrice, giornalista free lance.
Dopo un felicissimo debutto – Einaudi, 1996 – con “Hot Line”, (il libro ottenne entusiastiche recensioni di Corrado Augias, Angelo Guglielmi, Gianni Riotta e altri) ha conosciuto altri successi con “Relazioni scandalosamente pure” (Marsilio 1998); “Amore a Marsiglia” (Marsilio 1999); “Storie illecite di perdizioni e diseredati” (LietoColle 2003); “L'Anarchiste” (Aliberti 2005); “Train du reve” (Giraldi 2006); l' e-book “Louis Brauquier” (Kult Virtual Press 2006); “Magnificat Marsigliese” (Creativa 2007); “Via crucis per corpo e anima svestita” (ARPAnet 2007).
Nel 2003 ha vinto il premio "Fiuggi - Erotismo e scrittura".
Qua troverete una sua estesa biobibliografia.
Da pochi giorni di questo maggio che per i Terrestri appartiene all’anno 2008, è in libreria “Kaddish profano per il corpo perduto” pubblicato dall’editrice Azimut.
Per una scheda sul libro Qui; il volume s’avvale anche di un booktrailer, per vederlo: Clic!
Kaddish è una delle più antiche preghiere ebraiche. “Kaddish profano per il corpo perduto” ha per protagonista un corpo femminile sfigurato dall’obesità, indossato da una creatura consumata da una bulimia che la porta a introiettare amori, luoghi, amanti, dolori, con una fame d’esistenza tenera e autodistruttiva.
Mai in questi incontri parlo delle trame dei libri che presento perché ritengo che le pagine si qualifichino attraverso il linguaggio e non già attraverso le storie. In questo lavoro il linguaggio dell’autrice ha il fascino delle figurazioni frattaliche laddove il particolare riflette il disegno generale e viceversa. Perciò, a mio avviso, è un libro da non perdere.
Ancora un paio di cose, la Mazzucato ha visto sue opere tradotte in Francia, Germania, Grecia e Spagna; agisce in Rete un proprio blog sulla piattaforma Kataweb.
- Benvenuta a bordo, Francesca …
- Grazie è un piacere incendiario e speciale essere introdotta così ed essere qui.
- Nicola Batavia, chef e patron del Birichin di Torino mi ha consigliato d’assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo "Le Grive" doc 2004 Forteto de la Luja, inviandomi in Spacefax queste parole d’accompagnamento: “E’ metà barbera e metà pinot nero; è prodotto da una cantina che nasce in zona dichiarata protetta dal Wwf. Un vino di piano carattere dove le due uve si sposano in un modo perfetto, come quando ci abbino le mie fantasie gastronomiche”.
Fin qui Nicola Batavia… qua il bicchiere.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Francesca secondo Francesca…
- Non bevo alcolici dal 2004. Ho smesso. Ma ti faccio volentieri compagnia con una coca light. Chi sono, bella domanda. Un riflesso. Un io variabile. Mi piace definirmi scrittore, è un universale neutro in cui mi riconosco. Non avrei potuto fare altro che questo, scrivere. Aprire mondi, narrare storie. C’è un’ispirazione, un odore, un ‘impressione tattile. C’è un incontro o uno sguardo e poi arriva:il racconto, il progetto o il romanzo, e fino a quando non l’ho scritto sono completamente avvolta, “foderata” da quello che devo portare a termine. Francesca è la stratificazione di storie e di percezioni. Francesca è anche una donna che viaggia, che prende treni per stare vicino alle persone che ama. Francesca è una nomade che osserva il suo tempo e cerca di raccontarlo. Senza collari o guinzagli attorno al collo, mai.
- Dimmi l’aggettivo… uno solo, eh... che, secondo te, più s’adatta per definire “Kaddish profano per il corpo perduto”…
- Spudorato.
- Nel tuo libro, ha molta importanza Budapest; il volume, inoltre, è dedicato all'opera del grande scrittore e premio Nobel ungherese Imre Kertész.
Perché Budapest?... Perché Kertész? Quale per te l’importanza della prima e del secondo?
- Budapest è una città in divenire, una città mutante. Perfetto parlare di Budapest da queste parti, in questo “spazio virtuale“ attento a ciò che cambia. E’ una città dalla straordinaria vitalità culturale e che somiglia a un millefoglie. Da gustare adagio, sentendo sapori diversi, antichi, in disarmo, nuovissimi e futuribili.
Imre Kertész è lo scrittore ungherese premio Nobel 2002. Alla protagonista del libro, precaria nel mondo dell’editoria e della scrittura, “scoprire” Kertész e l’incantesimo della sua letteratura modifica il destino, cambia la vita.
- Immagina di rivolgerti ad una platea di non addetti ai lavori e illustrare loro la sostanza e il senso della tua opera fino ad oggi. Che cosa diresti?… E, in particolare, che cosa diresti circa il tuo interesse per il corpo manifestato anche in pagine precedenti al tuo più recente libro?
- Direi che sono una scrittrice onesta. Hanno scritto delle tesi di laurea sul mio lavoro e ogni volta mi sorprende la chiave di lettura che danno ai miei libri. Mi sono occupata da sempre del corpo e delle sue mutazioni, c’è chi dice che le scrittrici lo fanno troppo, che il corpo è pertinenza delle donne, ma che scrivono poco su altro. Non credo. Io parlo di industria culturale, di obesità, di contemporaneo che discrimina, di merci, di Europa dell’allargamento e questo attraversa il corpo, ne diventa parte.
In altri libri ho scritto d’amore, di passioni notturne e vagabonde, di sessualità fluttuanti.
Osservo il mio tempo, lo assorbo, mi faccio spugna, lo stringo e lo narro.
- Adesso voglio sapere… lo ammetto, sono indiscreto… come la pensi su alcune questioni.
La prima: Ha ancora una funzione la critica letteraria oggi?
Se sì, quale? Se no, perché?
- Sono tutti critici. Io lo sono diventata senza pensare di diventarlo. Nel 2005 mi sono inventata il blog che citi all’inizio, Books and other sorrows, che poi è diventato un blog d’autore del gruppo Kataweb-L’Espresso. Volevo farne lo scrigno delle mie ossessioni, una cosa impopolare e tutta mia: hanno cominciato a desiderare mie recensioni. Mi arrivano - come a te presumo - decine di libri ogni mese. Tutti sono critici, ed essendo l’editoria vicina all’implosione, vanno bene anche due righe su un qualsiasi spazio, una segnalazione minuscola. Ci sono tanti libri e c’è un vorace desiderio di apparire citati, segnalati da qualche parte. Illude. Di essere visibili, di aver conquistato qualcosa. Ma vera critica non si fa. Troppe consorterie, troppi minuetti. Io provo, se un libro non mi piace lo stronco, ma di solito si arrabbiano moltissimo.
- Il web trasformerà o ha già trasformato la lingua? E in quale direzione?
- Il web ha agito sul linguaggio semplificandolo. La semplificazione e la velocità sono il segno di questo nostro tempo dove tutto è rincorsa, fretta e consumo. Da un lato queste trasformazioni sono positive e interessanti. Ma occorrono filtri, occorre vigilanza. Se no si rischia, come sempre in certi casi, un gioco al ribasso, l’impoverimento dei contenuti.
- Voglio ricordare un dato: Manzoni vendette duecentomila copie dei “Promessi sposi” in 13 anni, e si era ai primi dell’800!
A proposito di best seller, Giuliano Vigini dice che In Italia i successi di vendita nascono per caso. Mario Spagnol è del parere che il best seller oggi va programmato.
Il sociologo Mario Peresson afferma che “Gli autori italiani vogliono vendere milioni di copie ma anche entrare nella storia della letteratura; le due cose, assai spesso, non sono compatibili”.
Un tuo parere sul libro di successo… è possibile prefabbricarlo? Oppure no?
- Sono d’accordo con il sociologo.
Kertész è premio Nobel e uno scrittore magistrale, indimenticabile. Lo conoscono in pochissimi. Non ha fatto altro che scrivere, e in condizioni difficilissime. Se dovessi scegliere però, preferirei essere lui piuttosto che Coelho, per farti un esempio. Senza alcun dubbio. Inoltre credo che si possa fabbricare un libro di successo, che si possa giocare sullo scandalo, sul tema che stuzzica, sull’argomento di tendenza, ma che non si possa prefabbricare uno scrittore. Questo, se si ritiene che la letteratura, quella grande, che indaga le fratture, i dolori, le pieghe nascoste dei corpi intese come metafore del vivere e dei segreti dell’esistenza, esista, e che ce ne sia bisogno. Io lo penso. Lo credo. E’ quello che ogni giorno mi fa mettere alla scrivania, e ricominciare. Per fallire ancora, ma fallire meglio, per citare Beckett.
- Ci avviamo alla conclusione di quest’incontro.
Laurie Anderson canta "Language is a virus" citando William Burroughs che diceva "Il linguaggio è un virus venuto dallo spazio". Segue, quindi, una domanda acconcia in un viaggio spaziale: sei d’accordo con quella definizione? Se no, perché? E, se si, qual è oggi la principale insidia di quel virus?
- L’insidia è pensare che non vada osservato al microscopio il virus. Che non vada studiato, con fatica, un giorno dopo l’altro. Tutti scrittori, una professione sventrata, svuotata, avvilita. Non vogliamo chiamarla professione? Diciamo uno “status infettivo” che è diventato pandemia. Tutti hanno blog, una pubblicazione non si nega a nessuno, si insegue la scrittura per inseguire il pezzo mancante di qualcosa. Per sentirsi esistere. Non può essere la motivazione. Si deve “far esistere” un mondo, una storia, un’ossessione, una malattia, un dramma, una farsa, una parodia. E’ una cosa maledettamente seria.
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- Io ho dei videomiti, ad esempio Senza Traccia e il mitico mesto pacato detective Malone, ER, medici in prima linea. Law and Order. Da ragazza avevo il patologo Quincy o Happy Days… I videomiti sono roba seria, fanno parte della vita, ne scandiscono i ritmi.
Ho conosciuto veri e propri fanatici di Star Trek, negli anni. Adulti e ragazzi. Parlano un gergo da iniziati dal quale mi sono sempre sentita esclusa. So che deve essere importante per avere inciso talmente tanto sul costume, sull’immaginario e sulla cultura. Ma io non mi sono mai lasciata catturare, per me ha rappresentato solo quelle strambe orecchie a punta e una certa claustrofobia, ma so che non avevo i mezzi giusti per avvicinarmi. Non è mai troppo tardi, penso. Per ora mi dedico al detective Malone, una vera “video paranoia”. Ma provvederò.
- Siamo quasi arrivati a Mazzucato-One, pianeta abitato da alieni che hanno soltanto relazioni scandalosamente pure… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata.
Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di "Le Grive" consigliata da Nicola Batavia patron e chef del ristorante Birichin di Torino… Però torna a trovarmi, io qua sto…
- Contaci, ora prenoto la fermata e mi accingo a lanciarmi nello spazio di alieni dalle relazioni oblique e scandalose, ma tornerò senz’altro a trovarti. E’ stato un piacere.
Prometto che la prossima volta sarò infallibile su ogni dettaglio di Star Trek.
- Vabbè, ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
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