L’ospite accanto a me è Vivian
Lamarque. Poetessa. Nata – ci tiene a farlo sapere -
il 19 aprile del 1946, a Tesero, vicino Trento; vive a Milano dove
ha insegnato per molti anni. Su Sette ha tenuto la rubrica
settimanale “Gentilmente”, raccolta poi in volume da
Rizzoli. Collabora con il Corriere della Sera e ai suoi inserti,
ha una rubrica su TV Sette. Ha tradotto
Valéry, Baudelaire, Prévert, La Fontaine, Céline,
Grimm e Wilde. La sua attività artistica si divide tra la
poesia - ha vinto il Premio Viareggio Opera Prima nel 1981, il Premio
Montale nel 1992 e il Premio Pen Club nel 1996 - e la fiaba ed i
racconti per bambini. Lo spunto per quest’incontro è dato
dalla recente uscita presso Mondadori di “Poesie. 1972-2002” http://www.liberonweb.com con
introduzione di Rossana Dedola. Libro che (cosa assai rara per un
volume di poesia) è andato rapidamente esaurito e in questi
mesi del 2003 vedrà la luce la terza ristampa per un totale
di 7000 copie pubblicate nelle tre edizioni. Ecco pagine di valore
che potrete regalare alle persone care e a voi stessi se vi volete
bene. La ospito con gran piacere perché da anni stimo il suo
lavoro, il suo stile unico, la grazia della sua scrittura. Ne amo
il tono sommesso e alto a un tempo con il quale narra in versi, un
puppentheater incantato e dolente che fa risuonare come certi canti
fanciulleschi pieni di presagi, come canzoni di cera di bambina vissuta.
Ad apprezzarla non sono certo il solo né il primo (che fu
Raboni), tantissimi i riconoscimenti critici che ha ricevuto. Ne
cito alcuni fra i più recenti. Paolo Mauri, ad esempio, ha
scritto: “…trasforma la vita (che non sempre le va di
vivere) in una fiaba che mi piace immaginare dai colori pastello
e la sua cronaca in versi si aggancia ai diminutivi che rendono tutto
più vicino e confidenziale, anche se i dolori restano tali”.
E Maurizio Cucchi: “…la sua è una voce che affiora
da una sofferenza profonda e che ne sa riemergere con un sorriso
ironico e ammiccante ma pieno di significati e ferite, e comunque
antiretorico per vocazione.”
Mi piace, infine, segnalare che Folco Portinari su “L’Unità” dello
scorso gennaio l’ha ricordata come una delle pù grandi
poetesse italiane degli ultimi cinquant’anni.
Come al solito, offro ai miei avventori alcuni links:
biobibliografia, testi, dichiarazioni di poetica e un video su http://digilander.libero.it/ccalbatross/poesia/lamarque/3.htm;
una sua riflessione sull’infanzia: http://www.casadellacultura.it/iniziative/materiali/040_disagio_vegetti.php;
note critiche sul suo lavoro: http://www.fondazionemondadori.it/libri/tirature_2002_bf.html .
C’è anche dell’altro sul web, accendete i motori
di ricerca e troverete.
- Benvenuta in questa taverna spaziale, Vivian…
- In vini sono un’asina! Magari il vino mi piacesse quanto il
cibo!...Comunque sto migliorando, prima mi piacevano solo i vini dolci,
ora ho finalmente fatto il salto, ho tutto un mondo da scoprire, pensa:
come se un “mangiatore” ancora non conoscesse nulla, neppure
gli spaghetti aglio e olio!
- Allora assaggia questo Chardonnay Doc Colli Piacentini di Torre Fornello…qua
il bicchiere…ecco fatto.
Ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida,
a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi
nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole
che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione
con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma,
chi è Vivian secondo Vivian…
- Sono faticosamente alle prese con due Vivian entrambe scatenate e
in lotta fra loro: una
ancora piena zeppa di infanzia, di aspettative, di entusiasmi, di solarità;
l’altra, come centenaria, che vede l’ombra del gelo, della
solitudine e della morte dappertutto. Citando un mio verso, non bello
ma che rende l’idea: sento dentro mille giostre / e mille
cimiteri.
Mi manca molto una Vivian di mezza età!
- Tra i tuoi meriti c’è quello d’esprimerti in un
modo che raggiunge anche chi di solito non è un lettore di poesia.
Ti chiedo di definire il tuo lavoro, la tua presenza nello scenario
poetico di oggi, con la capacità che hai di rivolgerti anche
a chi non è addetto ai lavori…
- Ho scritto la mia prima poesia a dieci anni, quando, da documenti
trovati in casa, ho scoperto di avere due madri, che la madre con cui
vivevo era la madre adottiva. Non ho detto a nessuno di questa mia
scoperta, ma forse era troppo grande per essere taciuta: è finita,
camuffata, obliqua, indiretta, nelle mie prime poesie. Da allora non
ho più interrotto questa vita parallela, di carta, che accompagna,
come una stampella, l’altra.
Tenevo le poesie per me, le leggevo solo a pochi amici, non pensavo
alla pubblicazione. Invece mio marito Paolo Lamarque, grande appassionato
di poesia, le fece leggere a suo fratello Lucio Lamarque che lavorava
alla Garzanti e che le fece leggere a Giovanni Raboni. Raboni le fece
uscire prima su “Paragone”, poi su “Nuovi argomenti”.
Scrisse che componevo poesie “come se questo non avesse a che
fare con la letteratura” ed era esattamente così. Dopo
mezzo secolo e 1600 poesie (ne ho pubblicato credo un quarto), mi fa
piacere sentire che la mia “stampella” è buona stampella
anche per i miei lettori.
- Nel tuo lavoro letterario, nello scrivere in versi o scrivere in
prosa, cambiano solo le tecniche, oppure, con esse, o prima di esse,
anche le finalità della scrittura?
- Per anni ho scritto poesie e fiabe unicamente perché dentro
avevo poesie e fiabe che volevano essere scritte. Basta leggere i titoli
delle mie prime fiabe per rendersene conto: “La bambina senza
nome”, “La bambina di ghiaccio”, “La bambina
che mangiava i lupi”…
Per la poesia, il discorso non è mutato. Per la fiaba si stanno
delineando due generi: continuo a scrivere quelle che bussano per essere
scritte ma, essendo poco allegre, vengono meno facilmente pubblicate;
escono invece quelle commissionate (come la serie di trascrizioni di
opere musicali, “Il Flauto Magico”, “Petruska”, “L’Uccello
di fuoco”, “Il lago dei cigni, “Pierino e il lupo”),
o quelle divertenti, come “Cioccolatina”, pensate per i
bambini – specie da quando sono nonna . “La luna con le
orecchie” sta a metà tra i due generi. Scrivo molto anche
per i giornali e lì, sotto sotto, senti una patetica donchisciottesca
testardaggine da aspirante strampalata “miglioratrice – di – almeno – qualche – millimetro – di – mondo”.
- Quale importanza dai alla voce nella comunicazione poetica?
- Se ti riferisci alle letture pubbliche che facciamo come poeti in
trasferta, ascolto con attenzione i miei colleghi, specie i preferiti.
Quando poi a casa rileggo le loro poesie, alla voce dei loro versi
si sovrappone quella reale che mi è rimasta nelle orecchie,
magari poter udire anche quella di certi poeti morti! Qualcuno sa dirmi
che voce aveva Emily Dickinson? Quanto a me, cerco di leggere senza
dare alcun colore. Purtroppo nei superlativi assoluti mi fischiano
le esse. Per fortuna ora li uso di meno, ma decenni fa con l’”Amore
mio è buonissimo” ci furono problemi! Non ascolto mai
le registrazioni con la mia voce, ho paura, invece sarebbe utile farlo
per riconoscere i difetti, migliorare.
- Ha scritto Roman Jakobson in Poetica e Poesia: “Il confine
che divide l’opera poetica da ciò che non è tale,
risulta più labile di quello dei territori amministrativi cinesi”.
Sei d’accordo con quella enunciazione?
- Questa enunciazione di Jakobson è poesia. Lasciamola così,
non sciupiamola con una risposta.
- Che cos’è secondo te che distingue, o ti piacerebbe
distinguesse, il traguardo espressivo della letteratura dalle altre
forme di comunicazione artistica, oggi? Ed è nella letteratura
oppure in altre aree (arti visive, musica, teatro, video, fumetti,
etc.) che credi ci siano i lavori più interessanti nella ricerca
di nuove modalità espressive?
- Scusami, ma temo che risponderei come quando a scuola ti suggerisce
un altro, non con le mie parole. Io sono più preparata in altre
materie come botanica, veterinaria, culinaria, anagrafe, nidi d’infanzia,
cimiteri, piccioni, malattie infantili, transfert, controtrasfert,
neve, Natale, Val di Fiemme, finestrini di treni, finestre generiche,
finestre sul mare, gatti, cani, colombelle bianche (specie quelle di
Plaza de America a Siviglia), nonnità, Monte Stella, il quartiere
di Milano QT8, illegittimi, orfani, semi-orfani, ex-orfani, fratellastri,
sorellastre, traslochi, investigazioni, condòmini, Valdesi,
Pastori valdesi, Torre Pellice, eccetera…
- Beh, mi pare che gli argomenti di conversazione non manchino, possono
coprire anche un tragitto andata e ritorno della transiberiana. Ne
postillo, al momento, uno solo: Torre Pellice. Per ricordare (non a
te che da buongustaia, come hai dichiarato in apertura, certamente
già ne sai), ma ad altri amici che lì c’è uno
dei più grandi ristoranti italiani, lo amo molto e lo consiglio,
cioè “Flipot” di Gisella
e Walter Eynard i quali sono stati anche ospiti di questa navicella
spaziale…Passando ad altro, so che non frequenti Internet, non
lavori sul computer. Quali i motivi di questa scelta?
- Il computer lo uso eccome (anche se all’1% delle sue possibilità)
e almeno una volta al giorno mi pongo anch’io come tutti la solita
domanda: ma come facevamo prima?
Di Internet e della E-Mail invece per il momento ho ancora paura. Paura
di che? Paura che i pur innegabili vantaggi che ne trarrei siano inferiori
ai problemi che ne verrebbero. Esempio: ho paura dei virus, e di non
aver pazienza con antivirus, aggiornamenti, formati, visualizzazioni,
programmi, eccetera. Paura del tempo che mi richiederebbe ogni giorno
dover leggere non leggere salvare scaricare. Ho già un’invasione
quotidiana via posta, mi fa firar la testa l’idea di quell’altra
inevitabile invasione cui sarei esposta. Anche perché per natura
mi piacerebbe saper tutto, leggere tutto, rispondere a tutto, sarebbe
una lotta continua tra dovere e piacere, con sensi di colpa a non finire
in tutti i casi.
Ma forse la ragione principale è un’altra ancora: la mia
difficoltà più grande oggi è di camminare dritta,
vado continuamente a zig zag come una lucignola curiosa di tutto e
di tutti, sbando continuamente, arrivo a sera avendo fatto di tutto
meno quello che avrei voluto fare. Temo che nelle mille strade che
aprirebbero Internet e E-Mail finirei col perdermi del tutto.
Ti avverto però che cambio idea facilissimamente e improvvisamente!
- A tutti gli ospiti di questa taverna spaziale, prima di lasciarci,
infliggo una riflessione su Star Trek…che cosa rappresenta quel
videomito nel nostro immaginario?
- Mi spiace, non sono preparata…
- Siamo quasi arrivati a Lamarque-V, pianeta abitato da alieni che
sono immortali perché per tutta la vita sfogliano Il libro delle
ninne-nanne…se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata.
Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita
la bottiglia di Chardonnay Doc Colli Piacentini di Torre Fornello…
- Autocitazione: Siamo poeti / vogliateci bene da vivi di più /
da morti di meno / che tanto non lo sapremo.
- Sono d’accordo. Ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga
vita e prosperità!
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