L'ospite accanto a me è Francesco Muzzioli,
accento sulla u. Poeta, saggista, docente di Teoria della letteratura
alla Sapienza
Di recente ha edito sul web un'antologia di poeti www.cirps.it
Ma non è stato un debutto perché ha pubblicato su carta
libri di saggistica nel campo della metodologia e della critica letteraria,
soprattutto su scrittori del Novecento italiano e sulla storia delle
avanguardie. Ad esempio, presso l'editore Carocci: Le teorie della critica
letteraria (1994) e Teorie letterarie contemporanee (2000). Fa parte
del gruppo "Quaderni di critica" e collabora a riviste, tra
cui "Karenina" e "Mu" su Internet.
Come autore di testi creativi ha pubblicato "una specie di romanzo",
Il bizzarro caso dell'uomo ameboide, Latium, 1988; un libro di poesie,
Materiale comune, Fermenti, 1999; e una raccolta di scritti "teatraleggianti",
Recitazioni, stampato nel 2000 dall'editrice Le impronte degli uccelli.
Per saperne di più su di lui, fotografia compresa, si clicchi
con fiducia su: http://www.mediamente.rai.it
- Benvenuto a bordo, Francesco
- Ciao Armando, anzi: "Lanke trr gll" a te!
- Mi spieghi che cosa vuol dire?
- Te lo dirò più tardi, prima di lasciare questa tua
taverna spaziale
- Ci conto
ma t'avverto: se si tratta dei soliti insulti dei miei
ospiti, sono preparato al peggio.
Voglio farti assaggiare questo Chianti classico "Le Lame"
dei Fratelli Zanobini qua il bicchiere
ecco fatto. Adesso ascoltami:
il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma
direbbero "è un bel manico", però noi nello
spazio stiamo, schizziamo "a palla", la cosa che sto per dirti
io l'ho già fatta minuti fa, anche tu, in poche battute, trasmetti
sulla Terra il tuo ritratto
no, non fare quegli scongiuri!
ci
sto pur'io su 'sto tram
mica m'auguro che
- Che guaio: di fronte al ritratto mi viene voglia di ritrarmi. Tuttavia
posso dire: che a quest'altezza mi dimentico la bassezza; che nell'oscurità
dello spazio impallidisce il mio color bruno; che essendo svanito alla
vista non sto a dirvi della vista svanita... Per quel che riguarda,
poi, la mia attività dirò che sono Ricercatore e tuttavia
non ho niente da perdere.
- Nanni Cagnone ha scritto: "Il poeta sente la poesia come il
grande invalido sente l'arto fantasma".
Condividi questa definizione della produzione poetica?
- Che l'Irreale sia Reale, e quindi possa far male, lo riconoscono
tutti; non è questione dei soli poeti. Per "sentire"
i fantasmi, basta pensare a una Banca, alla pubblicità, alla
stessa rete informatica. Il problema del poeta è che non solo
i suoi rapporti, ma "lui" stesso è diventato invisibile.
Nessuno vuole più poesie (o forse la poesia si è trasferita
in altro: nella canzone, nello slogan, ecc.); ma i poeti restano. I
poeti diventano l'arto fantasma della società, e perciò
raccolgono una quantità di cose da essa escluse. Il problema
è fino a che punto la società continua a sentire dolore...
- Come ho ricordato in apertura, hai edito sul web un'antologia di
poeti.
Quale principio hai seguito nella scelta?
- La cosa alla quale ti riferisci si chiama "La poesia di ricerca
in Italia".
Questo lavoro (una vera fatica! Chi me l'ha fatto fare! e simili...)
seleziona gli autori che praticano oggi in Italia poesia sperimentale
-
di grazia, che intendi per sperimentale?
- Che c'è una distanza tra il soggetto e il linguaggio: il soggetto
che scrive sa che non esprime se stesso, ma che deve elaborare la propria
medesima identità attraverso un passaggio critico nel linguaggio-dato.
Gli autori che partono da queste posizioni sono una minoranza, certo,
ma sono molti di più di quanto si pensi (tanto che proporrò
una seconda serie; ma intanto devo preparare la prima!). La fatica sta
nel fatto che i testi inclusi nell'antologia saranno corredati di note.
Sì, come i libri dei classici che si studiavano a scuola! Qui
sta la scommessa: avvicinare mediante spunti di spiegazione (non spiegazioni
totali: altrimenti, se fossero interamente spiegabili, i testi non sarebbero
più sperimentali) una produzione poetica che viene di solito
scartata come "difficile" e "incomprensibile". L'ipertesto
informatico consente di lasciare le note nascoste, per cui non disturbano
chi vuole soltanto leggere. Il problema è farle! Dopo aver praticato
per anni questi poeti, adesso che vado a vederli parola per parola mi
accorgo di quanto sono "complicati".
- Molti linguisti affermano che la Rai ha divulgato, unificandola,
la lingua italiana nei nostri stessi confini. Si presenta al tuo esame,
la promuovi oppure no?
- Le domando: dove sono finite tutte quelle parole che nessuno adopera
più, tranne sparuti gruppi di poeti? Abbiamo avuto l'unificazione
(e questo è positivo) però al prezzo di un radicale impoverimento.
Una unificazione verso il basso e non dal basso. Potremmo dire anche
così: la lingua è la stessa per tutti, ma - proprio per
questo - non vale più niente.
Succede poi questo: che la lingua unificata è così impoverita
(di pensiero) che non può evitare che in essa si pronuncino le
parole del particolarismo, dello scissionismo, del razzismo e quant'altro
lede l'unità. Allora dico: che modo di unire è questo?
Eppure è vero che il grado di unificazione a cui si è
giunti, sia pure sbagliato e grottesco, è il punto di partenza
di qualsiasi intervento critico-propositivo.
Non so se anche la RAI era compresa nell'esame da fare: lasciami dire,
comunque, che la RAI non va né promossa né bocciata. Bocciamo
l'audience, prima, e poi ne riparliamo.
- Il web sta influenzando il modo di scrivere, lo si nota nei messaggi.
A differenza di un bigliettino sia pure celermente scritto, si tende
a non tenere troppo conto della grammatica e della sintassi, della punteggiatura
e
anche alcune espressioni mutano volto grafico: x al posto di
per, cmq per comunque, msg per messaggio, we per
week end, e così via. In questa cosa ci vedi rischi? Oppure -
aldilà di divertenti esercitazioni - anche future, possibili
nuove funzioni espressive?
- Il rischio che corriamo tutti - dico tutti noi intellettuali, noi
insegnanti, visto che anch'io ne sono uno - è quello di arroccarci
in difesa della cultura, come valore spirituale ingiustamente disatteso.
Che è anche una resistenza corporativa, ovviamente: e per questo
è molto difficile sottrarvisi.
Io cerco, però, di praticare una posizione diversa. Mi sforzo
di valutare gli esiti e non gli strumenti. Se c'è un buon esito,
cioè se il testo vale a suscitare nuove emozioni, nuove spinte
creative, nuove riflessioni, un angolo di visuale che prima non si riusciva
a vedere, allora ben vengano anche le ferite inferte alle regole, alle
buone maniere, alla correttezza (dato che anche loro, un tempo, sono
state deroghe a precedenti regole, convenzioni e così via). La
tendenza giustifica i mezzi. Se però manca la tendenza,
allora dietro la patina del nuovo c'è solo il vecchio, magari
peggiorato. Tanto per dirne una: l'uso di internet non è necessariamente
rivoluzionario e in rete possiamo trovare tanti orribili poeti.
- Che cosa distingue il traguardo della letteratura dalle altre forme
di comunicazione artistica, oggi?
- Aspetta. Oggi ci sono due letterature. Per una di esse vale l'orizzonte
del divertimento, del passatempo, del consumo immediato. Questa letteratura
non si distingue in nulla dalla comunicazione generale di massa, se
non per il fatto che arranca all'inseguimento di mezzi oggi più
potenti; ma sempre più si assimila ad essi. Vedi i libri tratti
da film, quelli scritti da personaggi televisivi famosi, ecc. La cosa
più avvilente è quando questa letteratura, essendo l'unica
visibile attraverso l'informazione dominante, viene esaminata con grande
serietà nella scuola e nell'università come la vera letteratura
di oggi.
Invece c'è un'altra letteratura - quella che io chiamo "di
ricerca" - che è invisibile, ma estremamente attiva
e vitale. Ha altri canali, certo, minoritari, ma non è detto
che non possano incentivarsi ed espandersi (sta a noi promuoverla, ad
ogni occasione). Questa letteratura altra mi pare in consonanza
con le varie forme di comunicazione artistica, nel senso che non vale
per il suo contenuto di informazione, quanto per il suo impatto di "modello
comunicativo" (una sorta di immagine in forma di parole) che ci
spiazza e ci mette di fronte a una diversa visione di noi stessi.
- C'è un tuo libro che stimo molto: "Teoria e critica della
letteratura nelle avanguardie italiane degli anni Sessanta"
titolo
non proprio fascinoso, ammettilo! mentre i suoi sette capitoli recano
nomi seducenti: Lo specchio infranto, Sulla scacchiera, Pagliacci mimi
ed altre mosse
mah! valli a capire i poeti quando pubblicano saggi!
quel
libro, edito dall'Enciclopedia Italiana, traccia una delle analisi critiche
più lucide che io abbia mai letto su quel periodo, e s'apre in
forma teatrale con un dialogo tra due personaggi: Il Critico e il Creativo.
Se ne dicono di tutti i colori. Scendiamo da quel palcoscenico e dimmi
qual è per te, oggi, la funzione della critica letteraria
- Beh, all'epoca - neanche tanto lontana: vent'anni fa - la lunghezza
del titolo aveva il suo valore. Oggi tengo molto alle sonorità
e forse metterei a quel libro un titolo del tipo "La contestazione
testuale". Che te ne pare quel "test" a "test"?
- Roba "tost"!
- Va bene. Però poi vedi che dentro c'era qualcosa di "criticamente
creativo". Il dialogo iniziale, che tu ricordi molto bene, partiva
dall'idea che anche la creazione artistica dovesse possedere al suo
interno una molla critica e autocritica. E viceversa: neppure è
accettabile una critica sprovvista di creatività. Insomma non
mi vanno le nette distinzioni tra testo creativo e testo critico.
Perciò, quanto alla domanda, non esiste in senso stretto una
"funzione della critica"
- Insomma, la mia solita cappellata
- No, non t'avvilire così. Voglio solo dire che altrimenti si
finisce per demandare al critico un ruolo di filtro, una autorità
inesorabile e insindacabile nell'ammettere o nel respingere gli autori.
Qualche tempo fa alcuni insegnanti mi pregavano, quasi mi scongiuravano,
di dir loro quali fossero gli autori più importanti del secondo
Novecento; ma non è di questo che c'è bisogno! Occorre
prima fare chiarezza sulla posizione da cui si parte: perché
mi interessa la letteratura? A cosa credo che serva? Che cosa le chiedo?
Cosa voglio che sia? Solo sulla base di questa prospettiva è
possibile stabilire quali autori convenga utilizzare e quali no.
Insomma non è questione di valori assoluti, ma, ancora una volta,
di tendenze politico-culturali. Se queste ultime sono nascoste, affermare
dei valori è puro e semplice autoritarismo. Naturalmente, a quegli
insegnati di cui sopra, non ho rivelato alcun nome...
- Hai scritto che l'alternativa tra neotradizionalismo e postmodernismo,
è una falsa alternativa.
Mi spieghi, in parole semplici, sennò tutti capiscono e io no,
il perché di questa affermazione?
- Torniamo per un momento ai bei tempi andati. La contestazione era
la negazione di un Valore a cui tutti (o la maggior parte) si inchinavano
e che invece veniva negato come tedioso e oppressivo. In parole povere
c'era la lotta tra l'opposizione e il dominio.
Oggi ci troviamo in una diversa situazione. Nel senso che l'avversario
non è mai uno, ma sono due. Ci troviamo cioè di fronte,
sempre più spesso, sempre più regolarmente, a delle
false alternative. Lasciamo stare la politica (lasciamola stare proprio,
anche perché non è più "politica"); ma
pensa alle antitesi tra "buonismo" e "cinismo",
ritorno alla religione e sette sataniche, tecnologismo e naturismo,
ecc. È molto chiaro se pensi al contrasto tra ricerca del profitto
e ecologia: alla fine tu vedi che la salvaguardia dell'ambiente coincide
con l'interesse del costruttore di auto sempre meglio, e meglio per
lui, tarate.
Di queste false alternative - in cui alla fine gli oppositori sono d'accordo
- fa parte anche la coppia neotradizione (ritiriamoci a coltivare i
Grandi Valori di una volta; W l'aristocrazia borghese!) vs. postmoderno
(godiamo l'eterno presente giocando a rimescolare le carte; W il mercato
di massa!). Come potrebbero essere, borghesia e mercato, autentici e
radicali avversari?
Allora ci vuole la terza via. Ma la terza via è quella che c'è,
che si costruisce da sé lasciando andare le cose come vanno,
attraverso le terribili contraddizioni che ci tirano. Quindi serve,
piuttosto, la quarta via. È l'alternativa da costruire.
- Questo sito, come sai, mostra l'immagine del DNA con dentro un codice
a barre, quasi una dichiarazione grafica programmatica. Sia come sia,
parliamo di Arte e Mercato.
Secondo alquanti sono termini inconciliabili. Se non ricordo male, anche
per te
- Ritorniamo al discorso di prima, cioè al lamento dell'artista
escluso dal mercato. Non vorrei proprio dare l'idea di piagnistei di
questo tipo. Perciò dirò: Arte e Mercati, al plurale.
Non si tratta tanto di preservare l'arte, come cosa senza prezzo, dalla
bruttura del contatto con la merce. Il problema è che oggi abbiamo
un mercato dominante che, mentre noi dormivamo si è espanso fino
ai confini stessi del globo. In questo mercato, l'arte come l'abbiamo
praticata finora è messa mal partito, nel senso che parte enormemente
svantaggiata.
Faccio un esempio concreto: se io scrivo una poesia (ammesso e non concesso)
che mira a scuotere i tratti dell'identità collettiva, questo
testo ha bisogno di un certo tempo per superare le difese del pubblico,
perché si colgano i suoi aspetti costruttivi, o si comprenda
magari che non è poi così diverso come sembrava, e così
via. Ma il sistema dell'editoria libraria oggi non concede tempo: non
solo non perde tempo nella promozione dei prodotti innovativi, ovvero
nella formazione del pubblico di domani, ma non prevede di lasciare
spazi in libreria per più di una stagione.
Allora io dico: questo mercato non fa per me. Cerchiamo se ci sono altri
canali e altri mezzi, altri mercati insomma, attraverso i quali quello
che io faccio possa circolare meglio. Tutto qui.
- Tempo fa, t'interrogavi, alquanto angosciosamente, sulla sorte della
traduzione in un'epoca come la nostra in cui sempre più si va
verso un poliglottismo diffuso. Ho perso la puntata che veniva dopo.
Quale era la risposta che davi?
- Era una riflessione che partiva dalla prospettiva di un poliglottismo
sempre più diffuso, malgrado le resistenze del nostro atavico
provincialismo e del sindacato dei Doppiatori.
Da un lato è prevedibile che le lingue si imbastardiranno. E
mi piace pensarlo soprattutto per quella maledetta pronuncia dell'Inglese
che, in quanto lingua di scambio, è destinata in breve tempo
a diventare simile all'improbabile "pidgin" che parliamo io
e altri disgraziati poco dotati in dentali, nel mondo intero.
Dall'altro lato, mi chiedevo: quando tutti sapranno tutte le lingue
e quindi potranno avere direttamente accesso ai testi originali, che
senso avrà la traduzione? Diventerà una verifica sperimentale
dei rapporti tra le lingue e le culture. Una sorta di sfida culturale
(ditelo un po' con parole vostre, se ci riuscite). Si eserciterà,
allora, in primo luogo sui testi intraducibili.
Per la cronaca le riflessioni nascevano da una acrobatica traduzione
italiana delle poesie di Gertrud Stein, prodotta dal bravissimo ed audace
Luigi Ballerini.
- Proprio perché l'Enterprise naviga nello spazio, cerco di fare
anche domande che rimandino alla Terra, ma non proprio terra terra.
Pareri, suggerimenti, o anche insulti, che dall'Enterprise sono trasmessi
alle Istituzioni coinvolte nelle conversazioni
un consiglio, gratis,
da girare al Dipartimento per l'Informazione e l'Editoria di Palazzo
Chigi affinché meglio orienti le sue energie
un intervento,
una cosa che ti piacerebbe vedere realizzata
- Mi pare che un'idea, semplice ma carina, ci fosse già: la
detrazione del consumo di cultura dalla dichiarazione dei redditi. Un
bonus per i libri, suppergiù, analogo a quello per i medicinali
o per le auto. Un piccolo segnale, ma pur sempre di alto valore simbolico.
Dov'è andato a finire?
No. Debbo dire che credo sempre meno al coinvolgimento delle Istituzioni,
anch'esse malate del ritmo suicida del "tutto e subito", che
è la spettacolarizzazione dell'esistenza.
Bisogna provare con la "rete dal basso": io, te, un altro,
quell'altro, chi vuole. Partire da dove si è. Chiamiamola
red web e via!
- A tutti gli ospiti di questa taverna spaziale, prima di lasciarci,
chiedo una riflessione su Star Trek
che cosa rappresenta secondo
te quel videomito?
- Scusatemi, ma sono al mio "primo contatto" con voi del
XXIV secolo...
Quanto a me, ho praticato, se non proprio le "balle spaziali",
qualche minimo micromito come l'"uomo ameboide". Non ho quindi
nessuna remora ad arruolarmi in una picar(d)esca impresa. D'altronde,
da quello che ho detto mi pare sia risultato un progetto avventuroso,
una qualche enterprise letteraria e poetica. Il punto nodale,
per me, è di abitare qualsiasi mito stando però, nello
stesso tempo, con un piede di fuori, senza farsi del tutto avvolgere
da esso come un completo sostituto di realtà. Ecco perché
sto qui, per quanto comodamente a dire il vero, su di un piede solo.
- Siamo quasi arrivati a Mùzzyolya, pianeta spirituale abitato
da alieni materialisti se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata.
Stoppiamo qui l'intervista, anche perché è finita la bottiglia
di Chianti classico "Le Lame" dei Fratelli Zanobini. Però
torna a trovarmi, io qua sto
intesi eh?
- Ti porgo un altro "Lanke trr gll", che non è un
saluto vulcaniano, ma l'attacco del buon vecchio dadaista Schwitters.
Grazie della chiacchierata e a presto.
- Ed io ti saluto com'è d'obbligo sull'Enterprise: lunga
vita e prosperità!
È possibile l'utilizzazione
di queste conversazioni citando
il sito dal quale sono tratte e menzionando il nome dell'intervenuto.
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