L'ospite accanto a me è Gualberto Alvino.
Saggista che valorosamente dedica da anni le sue energie all'opera di
Antonio Pizzuto, un caso letterario che aspetta ancora un editore che
rilanci le sue poche, preziose opere, oggi reperibili, con qualche fortuna,
in lontane edizioni di Lerici, Scheiwiller, Mondadori, Einaudi. Ma mi
piace qui ricordare che un coraggioso editore di Napoli, Cronopio, ha
pubblicato mesi fa una raccolta di racconti di Pizzuto con il titolo
"Narrare".
Gianfranco Contini, ebbe il grande merito d'accorgersi di Pizzuto, ma
Gualberto lo ritengo il più importante studioso dello scrittore
siciliano, pur riconoscendo i meriti di altri saggisti (da Ruggero Jacobbi
ad Antonio Pane, per andare rapidi) che si sono misurati con le pagine
pizzutiane.
A lui si deve il recente "Chi ha paura di Antonio Pizzuto"
edito da Polistampa, due epistolari "Lettere a Margaret Contini"
e "Caro Testatore, Carissimo Padrino", entrambi reperibili
su www.polistampa.com
e, inoltre, nel '98, una raccolta di saggi intitolata Tra linguistica
e letteratura. Scritti su D'Arrigo, Consolo, Bufalino.
Facendo io parte della setta dei pizzutiani, sono grato a Gualberto
anche per il certosino lavoro di "Giunte e Virgole" del '96.
Si clicchi su: http://www.alessandrina.librari.beniculturali.it
Si tratta di un'opera di Pizzuto pubblicata postuma, divisa in cinquanta
parti, la prima delle quali, eponima, apparve in plaquette nel
1975 per Scheiwiller.
Gualberto sta per dare alle stampe una sua edizione critica delle pizzutiane
Ultime e Penultime che si dovrà ad un Editore già
citato prima, cioè Cronopio di Napoli.
- Benvenuto a bordo, Gualberto
- Grazie, Armando
messo qualcosa in fresco? Sai che bevo di rado,
e solo in compagnia, ma sempre a temperature siberiane, senza distinzione
- ahimè! - tra bianchi e rossi
- Fingo di non avere sentito le ultime parole. Voglio farti assaggiare
questo Barbera di Giordano
qua il bicchiere
ecco fatto. Adesso
ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida,
a Roma direbbero "è un bel manico", però noi
nello spazio stiamo, schizziamo "a manetta", per prudenza,
in poche battute, trasmetti sulla Terra il tuo ritratto
- Data la mia nota inclinazione per gl'irregolari della letteratura,
ho incaricato il mio marmista personale (sempre ché mi sopravviva,
ed è cosa tutt'altro che sicura) d'incidere sulla mia lapide
il seguente epitaffio: "Spese la vita / - e ancor non è
finita - / a far chiaro l'oscuro".
- Parecchi autori meriterebbero d'essere conosciuti e sono invece trascurati
dalla nostra editoria. Ogni tanto però qualche nome riesce ad
emergere, perché secondo te non è finora successo con
Pizzuto?
Qual è la sua importanza nello scenario letterario italiano?
- Nessuna, nella maniera più assoluta. Ed è bene che
sia così. Ogni epoca ha gli autori che si merita. Il tempo del
Vecchio Cinese
così lo chiamavano i suoi amici Albino Pierro
e Gianfranco Contini
è ancora di là da venire. Ricordi
l'incipit di Giunte e virgole?: "Cieli altissimi
retrocedenti lumaca alle vette arboree, e mai del tutto in tenebre,
raro che stellati, urgervi incontro tumultuoso un gran fiume, greve
di moli: triplici file, minacciose, invadenti, perse le rive addietro
selve gru e, incruente pure, salamine, trafàlgare." E quello
di Spegnere le caldaie?: "Come spere a orza vagantile flussi
ondose o tratte sinistrorso affondo sonoro vortice il banco avido, pur
lattina calciata strenuo monellaccio, qui rotolare esse monotono su
giù per tubulature dissecche or dado svitatosi, invisibile in
borboglio, addentro una nerezza totale."
Pizzuto (intendo ovviamente il Pizzuto estremo, essenziale, leggendariamente
impenetrabile dell'ultima stagione "pagellare") è autore
da assumere a piccole dosi, possibilmente in edizione critica, meglio
se genetico-evolutiva, con armamentari di saperi e competenze da disgradarne
un Leonardo. Credi davvero che ci sia posto per un siffatto gigante
nell'attuale scenario letterario italiano, popolato di scriventi-entertainers
padroni di non più di venticinque parole? No, il tempo di Pizzuto
non è ancora arrivato. Accontentiamoci dei vari Baricco, Busi,
Veronesi
e della loro grammatica claudicante, prevedibile, unicorde,
priva di scatti e d'invenzioni.
- Parlando di Pizzuto, è opportuna una riflessione sul nostro
lessico. Molti affermano che la Rai ha divulgato, unificandola, la lingua
italiana nei nostri stessi confini.
La Rai si presenta al tuo esame, la promuovi oppure no?
- L'effetto benefico della RAI sul piano linguistico-culturale negli
anni Cinquanta e Sessanta è stato più volte ed efficacemente
dimostrato. Che Mike Bongiorno abbia contribuito all'unità d'Italia
più di Cavour, Mazzini e Garibaldi messi insieme è nozione
ormai proverbiale. Dunque, nessun dubbio al riguardo: promozione
magna cum laude. Ma che dire del presente? L'italiano radioteletrasmesso
è ormai una sorta di koiné improntata a superficialità,
rozzezza, improprietà, approssimazione. Ti basti pensare che
il novanta per cento del lavoro d'un insegnante d'italiano consiste
oggi nel contrastare - con risultati purtroppo scarsissimi - la radioteleimbecillità
espressiva.
- Che cos'è secondo te che distingue, o dovrebbe distinguere,
il traguardo espressivo della letteratura dalle altre forme di comunicazione
artistica, oggi?
- La questione è molto complessa e mi perdonerai se sarò
costretto a semplificare. La letteratura lavora su materiali di (ab)uso
comune e quotidiano: le parole. Ciò costituisce un evidente svantaggio
rispetto agli altri linguaggi artistici, totalmente liberi di distruggere
e ricreare ex novo i propri materiali di costruzione senza dover
fare i conti con una merce di scambio qual è appunto la parola.
Per questo il compito dello scrittore è tra i più delicati
e formidabili: agire sulla testura verbale, ripensare perennemente la
lingua e perennemente rinnovarla, affrancandola dal logorio prodotto
dalla sua inevitabile mansione veicolare, caricandola di ambiguità
e di polisemia, senza tuttavia svuotarla della necessaria polpa semantica.
Non vorrei passare per monomaniaco, ma credo che l'unicità, la
grandezza, l'imprescindibilità di Pizzuto risieda precisamente
in questa suprema capacità di equilibrio e di conciliazione.
Prendiamo l'aggettivo più semplice e innocuo: napoleonico.
Scrive il Cinese: "un'occhiata lassù, troppo rapida per
accorgere la napoleonica intenta"; e annota a margine del manoscritto:
"perché fa più di una cosa alla volta" come
l'imperatore còrso. E che dire dei suoi neologismi? Ad esempio
alzillo, incrocio di alzo e arzillo: "nunzio
usciere a soprana alzillo" "perché - chiosa lo stesso
Pizzuto - sta nel corridoio e continuamente si alza, per ossequiare
il superiore che passa".
Assolutamente straordinario!
E potrei continuare per ore. Ecco cosa vuol dire agire sulla lingua.
Se l'arte fosse solo contenuto e comunicazione sarebbe scienza, storia,
filosofia.
- Adesso devi dirmi, che tu lo voglia o no, se è nella letteratura
oppure in altre aree che credi ci siano i lavori più interessanti
nella ricerca di nuove modalità espressive?
- In altre aree, evidentemente. Sperimentare, in letteratura e solo
in letteratura, equivale - come ho già detto - a correre un rischio
immane: quello di compromettere la semanticità della parola.
Il fallimento di molte avanguardie si è consumato proprio su
questo equivoco. La letteratura sarà sempre il fanalino di coda
in materia di rinnovamento del linguaggio artistico. Ciò non
vieta, naturalmente, l'apparizione di meteore fulgentissime: penso a
Joyce, a Gadda, a Pizzuto. Ma si tratta, appunto, di meteore, di eccezioni.
Capisci, adesso, perché sono sempre stato attratto dagli irregolari?
Pizzuto, D'Arrigo, Consolo, Bufalino, Sinigaglia
Nelle arti plastiche e figurative, nella musica, nel teatro, nella danza
eccetera, la sperimentazione di nuove modalità espressive è
invece pane quotidiano.
Novecento docet.
- Ricordo tuoi lavori traduttivi sui versi di Dylan Thomas, Blake, Eliot
e le poesie in lingua francese di Sandro Sinigaglia, autore del quale
ti stai occupando attualmente; che cosa mi dici sulla sorte della traduzione
in un'epoca come la nostra in cui sempre più si va verso un poliglottismo
diffuso?
- Poliglottismo diffuso? Non conosco a fondo la situazione degli altri
Paesi, ma da noi è fin troppo pretendere una minima competenza
in fatto di madrelingua. Inoltre, anche dando per buona la tua affermazione,
come la mettiamo col cinese, col quechua, col vietnamita
No, la
traduzione non morirà mai, anche perché, grazie a Dio,
tradurre significa tradire.
La traduzione è riscrittura, reinterpretazione, atto critico,
lectura.
In verità non esistono traduttori, come scrissi anni fa presentando
le mie versioni da Blake, ma poeti che traducono, e traducendo - scilicet:
alimentandosi di pretesti - mirano a far poesia in proprio scevri
dai più gravosi impegni, per così dire, costituzionali
e immaginativi, caldamente protetti da un humus larvatamente
attivo e da scenari accuratamente predisposti. Dalla struttura linguistica
al pensiero che la sostanzia, da questo ad un pensiero nuovo, espresso
da un congegno linguistico irremissibilmente diverso: può darsi
tragitto più distruggitore e vandalico? orbita più ardita
e ingenitamente proditoria?
- Sappi che proprio perché l'Enterprise naviga nello spazio,
cerco di fare domande che rimandino alla Terra, ma non proprio terra
terra. Le interviste sull'Enterprise vengono trasmesse alle Istituzioni
coinvolte nelle conversazioni, nel presente caso al Ministero della
Pubblica Istruzione e dell'Università…perché? Presto
detto. E' noto che da noi l'insegnamento della letteratura contemporanea,
è carente e, soprattutto, spesso mal condotto. Immaginiamo una
fantacatastrofe: Gualberto Alvino, Ministro della Pubblica Istruzione…peggio
di così! Ebbene, che cosa disporresti per migliorare le cose?
- Domanda da cento miliardi di dollari. O mi dài tre mesi per
rispondere o accetti le prime cose che mi vengono in mente
- Opto per la seconda soluzione
- E allora, primo: rendere estremamente severi e selettivi i concorsi
a cattedre. Secondo: triplicare gli stipendi dei professori esigendo,
però, da loro una cultura vastissima e una preparazione ineccepibile.
Terzo: sganciare la letteratura dalla logica di mercato. Niente male
come programmino operativo, non credi?
- Giuro che alle prossime elezioni ci faccio un pensierino circa il
votarti
- A tutti gli ospiti di questa taverna spaziale, prima di lasciarci,
chiedo una riflessione su Star Trek… che cosa rappresenta secondo
te quel videomito…
- Te lo sussurro in un orecchio, se no arriva Picard e mi proietta nello
spazio: non ho mai amato quello che definisci un "videomito".
Quei telefilm li ho sempre trovati banali, spenti, senza ritmo, mal
recitati, pessimamente fotografati e orrendamente diretti.
Preferivo di gran lunga Zorro, Bonanza e Perry Mason.
L'ho detta grossa? Mi toglierai il saluto per questo?
- Io no. I trekkers sì.
Siamo quasi arrivati a Halvìnya, pianeta pizzutiano abitato da
alieni dalla molteplice identità: si trasformano in bastimenti…asini…signorine
dal nome Rosina…se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata.
Stoppiamo qui l'intervista, anche perché è finita la bottiglia
di Barbera targata Giordano…Però torna a trovarmi, io qua
sto…intesi eh?
- Scendo a malincuore, te l'assicuro. Il vino era un nèttare
degli dèi e la tua compagnia deliziosa. Promettimi di farti vivo
al più presto ad Halvìnya: organizziamo gite su asine
e crociere in bastimento da far invidia al Paese delle Meraviglie. E
si spende pochissimo: basta conoscere a memoria almeno un incipit
pizzutiano.
- D'accordo. Ci verrò al prossimo giro.
Ora io ti saluto com'è d'obbligo sull'Enterprise: lunga
vita e prosperità!
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