L'ospite accanto a me è Marcello D'Orta. Scrittore. E' nato nel 1953 a Napoli e lì vive e lavora. Vi ricordo che ha insegnato per quindici anni nelle scuole elementari della sua (e anche mia) città. Nel 1990 pubblica " Io speriamo che me la cavo", Mondadori, libro venduto in oltre 2 milioni di copie. Dal testo è stato tratto un film con la regia di Lina Wertmuller, attore protagonista Paolo Villaggio; tre rappresentazioni teatrali: a Roma, sceneggiatura di Maurizio Costanzo e dello stesso D'Orta; a Parigi, a St. Brieuc in Bretagna, con passaggi al famoso Festival di Avignone dove era l'unico testo italiano rappresentato; un melologo, composto da più autori, eseguito dell'Orchestra Sinfonica Nuova "Alessandro Scarlatti" di Napoli con interventi in voce dello stesso Marcello.
Altre date di pubblicazioni: 1992, " Dio ci ha creato gratis", Mondadori, che nel 1998 diventa una fiction per la tv con i ruoli principali affidati a Nino Manfredi e Leo Gullotta; 1993, "Romeo e Giulietta si fidanzarono dal basso", Mondadori; 1996, "Il maestro sgarrupato", ancora Mondadori, dal quale nel 2002 verrà tratta una fiction in due puntate, per Rai Uno; 1997, "Il sole ventiquattrore. A spasso per Napoli", Baldini & Castoldi; 1999, "Non è mai troppo tardi", Newton & Compton; 2002, per Limina: "Maradona è meglio ´e Pelé: i bambini di Napoli giudicano il pibe de oro" .
Altre notizie: nel 1999, i Verdi lo hanno voluto candidato alle elezioni per il Parlamento europeo. Nel 2001, negli Stati Uniti, la Yale University ha adottato, per gli studenti del corso di italiano, " Io speriamo che me la cavo" .
Collabora ai quotidiani «Resto del Carlino», «La Nazione», «Il Giorno», «Corriere dello Sport-Stadio». Le sue opere sono state tradotte in Olanda, Grecia, Francia, Ungheria, Svizzera, Germania, Giappone.
Quest'incontro trae spunto dal suo più recente lavoro: "Nero napoletano", viaggio tra i misteri e le leggende di Napoli, uscito in questo 2004 presso Marsilio http://www.marsilioeditori.it; dopo appena due settimane in libreria è già giunto alla seconda edizione. Lo merita. E' un libro che ha la particolarità di percorrere i tanti miti neri di quella città in una versione inedita per fini e stile.
L'autore è protagonista di sé stesso, percorre non senza tremori, narrati con umorismo e autoironia, gli angoli tenebrosi che formano nei secoli una mappa di arcani e terrori, segreti e paure che coincide con la mappa della città stessa. E così abbiamo una città che si racconta attraverso un autore, e un autore che si racconta attraverso una città. Chi già conosce i testi di D'Orta sa che può contare su nuove feste di pagine e chi ancora non li conoscesse ha l'occasione d'incontrare uno scrittore che, anche in questa nuova uscita, garantisce informazione e divertimento.
- Benvenuto a bordo, Marcello.
- Ciao Armando, bentrovato.
- Voglio farti assaggiare questo "La Jara" Chardonnay Doc Colli Piacentini di Torre Fornello . qua il bicchiere.
- Ehm.comincerò in un modo che. mi metterà in cattiva luce presso di te e quanti sono adoratori del dio Bacco: sono astemio, pur essendo nipote di un vecchio lupo di mare, morto all'età di 98 anni, e che scolava un litro di anice al giorno. Bevo solo un po' di birra quando mangio la pizza. Ma siccome la pizza la mangio spesso.
- Vabbè, nessuno è perfetto. Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero "è un bel manico", però noi nello spazio stiamo, schizziamo "a manetta", prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto. interiore.insomma, chi è Marcello secondo Marcello.
- Per quanto riguarda il mio ritratto interiore, ti dirò che sono un timido, il quale ha avuto e ha grosse difficoltà a gestire la notorietà. Questo, per me, è il rovescio della medaglia. il lato positivo è che svolgo il mestiere che mi piace, lo scrittore, appunto, e non muoio più di fame come quando facevo il maestro elementare.
Per il resto, continuo a essere una persona semplice, un po' introversa, un po' misantropa, assai spesso depressa, come ogni buon umorista che si rispetti.
- “Nero napoletano”: i motivi che ti hanno spinto a scriverlo…
- Sono motivi per dir così “affettivi”. Sono nato a Napoli e ho voluto viverci anche quando, sull'onda del successo, tutti mi dicevano: “che cosa aspetti? vattene a Roma, vattene a Milano”. Qui ho avuto la culla e qui ho (già) la tomba. Con “Nero napoletano” ho voluto mostrare una città diversa, non quella classica “solare”, ma quella “lunare”, la millenaria città ricca di miti, misteri e leggende. Un libro che è una vera e propria guida (tant'è che ogni capitolo – chiamato ironicamente Litania – è corredato da piantine stradali, disegnate dal sottoscritto) che è anche un'autobiografia. Un libro, spero, colto e umoristico.
- Navigando attraverso i tuoi neri e gustosissimi capitoli, ho riproposto a me stesso una vecchia domanda: a Napoli c'è più il culto del lutto o della morte? Oggi ho l'occasione di sentire da te una risposta…
- Sia il culto del lutto come quello della morte hanno radici molto antiche a Napoli, ma è soprattutto nel Seicento, secolo di grandi calamità naturali (eruzioni del Vesuvio, peste, eccetera) e di sommovimenti popolari (rivolta di Masaniello) che essi si esprimono nei modi (barocchi) che sarebbero sopravvissuti fino ai tempi nostri. Ossia fino agli anni Sessanta del Novecento (culto delle anime del Purgatorio, funerali pomposi – io ricordo carri trainati da 12 cavalli – esibizione (a momenti ostentazione) attraverso gli indumenti di un lutto parentale, e altro ancora). Ma questo complesso di usanze, è stato sempre peculiarità del popolo e della plebe; borghesia e nobiltà sono state assai meno coinvolte.
Per rispondere più precisamente alla tua domanda, direi che entrambi i culti sono molto sentiti, ma credo più quello del lutto, che comunque è un modo per tener “viva” la persona defunta; alla morte abbiamo sempre cercato di fare un funerale di terza classe…
- "Io speriamo che me la cavo" trascorrendo per più territori espressivi, dalla pagina allo schermo, dalla scena al pentagramma, ha vissuto così un percorso multimediale. Qual è il bilancio che trai da questo attraversamento di linguaggi?
- Nella stragrande maggioranza dei casi, esiste una grande differenza tra il testo scritto e quello rappresentato, a meno che - s'intende - non si tratti di una recita su di un lavoro teatrale. Un conto è fare un film su "Moby Dick", tanto per fare un esempio, un altro leggere le pagine di Melville. Per lo più si tratta di "riassunti visivi", che per ragioni oggettive non possono far gustare la bellezza della parola. Ciò non toglie che siano state prodotte eccellenti pellicole.
Il film tratto dal mio libro è un buon prodotto commerciale, realizzato per strizzar l'occhio al pubblico, per aver successo al botteghino, e in questo c'è riuscito alla grande (10 milioni di telespettatori per la prima televisiva); buona anche la trasposizione teatrale (in Francia e in Italia) e quella musicale. Ma il valore del libro è ben altro. e scusa l'immodestia.
- Voglio ricordare un dato: Manzoni vendette duecentomila copie dei “Promessi sposi” in 13 anni, e si era ai primi dell'800!
A proposito di best seller, Giuliano Vigini dice che In Italia i successi di vendita nascono per caso. Mario Spagnol è del parere che il best seller oggi va programmato.
Il sociologo Mario Peresson afferma che "Gli autori italiani vogliono vendere milioni di copie ma anche entrare nella storia della letteratura; le due cose, assai spesso, non sono compatibili".
Un tuo parere sul libro di successo. è possibile prefabbricarlo? Oppure no?
- E' possibilissimo prefabbricare un best seller - questo lo si fa soprattutto negli Stati Uniti - o quanto meno un libro di successo; ciò non significa che tutti i best seller siano programmati, costruiti a tavolino. "Io speriamo che me la cavo" ne è proprio la testimonianza: un dattiloscritto rifiutato da tutte (dico tutte) le case editrici italiane, che Mondadori pubblicò con una tiratura di sole 8.000 copie, senza il supporto della minima pubblicità. Il libro andò da sé, il suo "lancio" fu il tam-tam.
In quanto all'affermazione di Peresson, rispondo che entrare nella storia della letteratura e vendere milioni di copie è difficile, ma non impossibile. Lo dimostrano i libri di Eco, di Tolkien. certo, nessuno di questi signori è Dostoevskij. e di non pochi altri.
- Che cos'è secondo te che oggi distingue – o dovrebbe distinguere – la letteratura dalle altre forme di comunicazione artistica?
- Hai detto "comunicazione".
- .è una malaparola?...
- No. Sono stato sempre dell'avviso che chi fa arte debba comunicare. E se si vuole comunicare, bisogna mettere gli altri, ossia il pubblico, nella condizione di capire. Io non concepisco che davanti a un quadro o una scultura ci si debba domandare perplessi: "Chi sa che cosa significa".
E siccome chi fa letteratura usa parole, queste dovrebbero esser scelte allo scopo di trasmettere chiaramente un'idea, un pensiero, un'emozione. Leopardi è grande anche per questo, e così Omero e Shakespeare, e lo stesso Dante, per quanto i suoi versi non siano alla portata i tutti. Per il resto (affermazione che ti parrà assai grave) rifiuto e contesto tutta l'arte contemporanea: per me la pittura è finita con Monet e gli Impressionisti, e la poesia con Pascoli. La prosa dà ancora buoni risultati, ma nulla di paragonabile all'Ottocento, il mio secolo preferito.
- E' nella letteratura oppure in altre aree… arti visive, teatro, eccetera… che credi ci siano i lavori più interessanti nella ricerca di nuove modalità espressive?
- Credo nelle arti visive, ma ripeto qui il mio pessimismo di fondo espresso poco prima: considero che sia stato già detto tutto in arte, e soprattutto sia stato dato il meglio. E' un po' come la canzone napoletana: l'Ottocento è stato un secolo irripetibile.
- Sei un esperto di letteratura per ragazzi che è giustamente ritenuta una delle pratiche di scrittura fra le più difficili e che ha visto all'opera anche celebri penne come Tolstoi, Stevenson, e molti altri. Qual è, a tuo avviso, la sua principale difficoltà?
- Buona parte della “letteratura per ragazzi” non fu scritta per i ragazzi. E' questo uno dei grandi equivoci della storia della letteratura. Swift e lo stesso Andersen, che sono ritenuti, in questo campo, dei “classici”, si rivolgevano agli adulti. “Adattando” le loro opere per un pubblico di giovanissimi, sono andate perdute molte delle loro ironie, e soprattutto la satira (nel caso di Swift e dei suoi “Viaggi di Gulliver”, sono state operate forti riduzioni, per esempio quando l'eroe incontra i cavalli sapienti). Per questo è sempre difficile mirare solo ed esclusivamente... sottolineo: solo ed esclusivamente… ad un pubblico infantile, la tentazione di rivolgersi ai “grandi” è sempre forte. E tuttavia esistono capolavori concepiti e portati avanti solo per ragazzi. Ma non è il caso di “Io speriamo che me la cavo”. Quella era letteratura dei ragazzi, e non, o non solo, per ragazzi.
- L'Associazione La bella lingua , ha redatto tempo fa un manifesto in difesa della lingua italiana sottoscritto da molti autori e operatori culturali; per citarne solo alcuni: Guido Ceronetti, Francesco De Gregori, Ernesto Ferrero, Vittorio Sermonti, Luciano Violante, e tanti altri. Da chi e da che cosa, secondo te, va difesa oggi la lingua italiana?
- Dai “barbarismi”, cioè dall'uso indiscriminato di vocaboli ed espressioni straniere, soprattutto di area anglosassone. Diciamo “gol” quando potremmo (e dovremmo) dire “rete”… “offside” per “fuorigioco”… “match” per “incontro”… “round” per “ripresa”, eccetera. Già nell'Ottocento, Leopardi sosteneva che se una parola straniera di uso corrente, non ha equivalente nella lingua italiana, è giusto e opportuno utilizzarla, ma se questa corrispondenza esiste, allora perché non affidarsi al proprio idioma? E' così, che a lungo andare, si arriva all'impoverimento e alla morte di una lingua.
Per contro, si critica chi fa uso di dialetto; ma il dialetto è la radice linguistica di un popolo, esso ha prodotto in non rari casi dei capolavori: il teatro di Goldoni, di Eduardo, di Pirandello, le canzoni napoletane, le poesie di Belli, Trilussa, Pascarella, Di Giacomo…
- Molti linguisti – Tullio De Mauro, per citarne uno soltanto – affermano che la Rai ha divulgato, unificandola, la lingua italiana nei nostri stessi confini. La Rai di oggi, ansiosa, si presenta al tuo esame, la promuovi oppure no?
- Ha ragione De Mauro a sostenere questo; e tanto per cominciare vorrei ricordare l'opera meritoria del maestro Manzi, con la sua trasmissione “Non è mai troppo tardi”. Ancora agli inizi degli anni Sessanta del Novecento, il 10% degli italiani non sapeva leggere e scrivere (con punte del 50 in alcune regioni del Meridione), il 63% si esprimeva solo in dialetto. Siccome a quel tempo non c'erano molti apparecchi tv nelle case, si allestirono più di duemila centri d'ascolto che accolsero 57.000 allievi. Grazie a Manzi furono 35.000 gli italiani che conseguirono la licenza elementare. Ma quella era un'altra tv, una tv che aveva ben chiaro il concetto di “servizio pubblico”. E che, come da più parti sostenuto, unificò (almeno linguisticamente) l'Italia più di quanto fece Garibaldi (con le armi).
Oggi si imparano frasi stereotipate, ci si nutre di slogan e di volgarità, esiste una "massificazione" delle espressioni verbali.
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s'intende…
- A questa domanda proprio non posso rispondere. Sono un grande appassionato di fantascienza, ma solo relativamente ai film degli anni Cinquanta, e in parte Sessanta, e conosco assai poco la serie di Star Trek. In letteratura, tranne i classici Poe, Lovecraft, Bradbury, Asimov, Stoker e gli altri scrittori del periodo gotico, soprattutto tedesco e inglese, non ho mai letto scrittori di questo genere. Forse ti meraviglierà: mai preso tra le mani un libro della serie Urania. Ad ogni modo, credo sia molto elegante avvalersi del pensiero di scrittori che pur non potendo essere catalogati fra quelli di fantascienza, hanno lasciato il segno nel mondo dell'irreale: Kafka sopra tutti.
- Siamo quasi arrivati a Dòrtya, pianeta di tufo e cera abitato da alieni umoristi avidi lettori di leggende nere napoletane… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l'intervista, anche perché ho finito la bottiglia di "La Jara" Chardonnay di Torre Fornello … Però torna a trovarmi, io qua sto…intesi eh?
- Per il momento ci salutiamo. Ci rivedremo nella Valle di Giosafat…
- …sì…ehm… la Valle… ma sai quel giorno quanta gente per la via!… la banda del Pignataro, canti e suoni, processione e bancarelle , venditori di torrone con quelli di nocelle… se fra tutta quella gente non c'avessimo incontrà?... Marcè, facciamo un po' prima, che ne dici eh?
- Sai che ti dico Armà?...
Hai ragione, vediamoci prima: è più sicuro. Facciamo così: domani, ora di pranzo, scendi n'attimo sulla Terra ed io t'aspetto alla Pizzeria Di Matteo… Ti va?
- Vabbè, a domani. Ti saluto com'è d'obbligo sull'Enterprise: lunga vita e prosperità!
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