L'ospite accanto a me è Italo Moscati.
Scrittore, regista, è stato anche critico teatrale per "Sipario",
"Tempo Illustrato", l' "Europeo". La sua produzione
editoriale è fertilissima, cliccate ad esempio su http://www.teche.rai.it/biblia
e mi darete una voce. Ho notato, prima che mi rimproveriate, che lì
manca un titolo recente, ci penso io a segnalarlo a chi non lo sapesse:
"1970 Addio Jimi", uscito da Marsilio nel '99, una carrellata
guidata da Italo sul rock di quegli anni.
Nel 1997 ha ricevuto il Premio St. Vincent per la televisione, è
Presidente del Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato
http://www.comune.prato.it/pecci
basta, mi fermo qui, sono stremato.
Se non siete sazi: http://www.alice.it/cafeletterario/071/cafelib.htm
Ma al di là di questi dati, pur eloquenti, mi va di dire 2 cose
2: primo, in un momento che si parla tanto, giustamente, di multimedialità,
interlinguaggio, eccetera, lui queste cose le ha teorizzate con largo
anticipo, ponendosi fra coloro che hanno capito la forza del multicodice;
secondo, è riuscito a ben realizzare un triplice obiettivo di
lavoro, impegnandosi come teorico, come produttore e come artista.
- Benvenuto a bordo Italo
- Ciao Armando!
- Voglio farti assaggiare questa Falanghina La Guardiense
qua
il bicchiere
ecco fatto.
Senti, il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida,
a Roma direbbero "è un bel manico", però noi
nello spazio stiamo, schizziamo "a palla", la cosa che sto
per dirti, io l'ho già fatta minuti fa, anche tu, in poche battute,
trasmetti sulla Terra il tuo ritratto. Cosa vorresti che gli umani dicessero
di te
- Tutto il bene possibile.
Ammesso che ci potrà essere un umano, dico anche un solo umano,
che avesse buona memoria; ma non ci credo molto.
Lavoro per il presente e per il passato, e sono sicuro con Eliot che
in questo lavoro c'è anche il futuro
mi viene in mente una
battuta di Vittorio Gassman. Gli chiesero quale epigrafe avrebbe voluto
per la sua tomba. Disse: "Qui giace Vittorio Gassman, attore, non
fu mai impallato". Al grande Vittorio che purtroppo non c'è
più, e che feci dannare non poche volte con le mie critiche sull'
"Europeo", dedico tutti i miei "impallamenti"
come
dire?
oscuramenti, occultamenti, di cui sono stato fatto segno
in my life.
A differenza di lui, sarò reso in qualche modo invisibile.
L'invisibilità, tra l'altro, avvicina il mistero, e riparati
non si sta poi male, credo
- Nel 1966, il futurologo Alvin Toffler diceva: "Il 2000 nascerà
sotto il segno d'una nuova comunicazione". Profezia avverata. Ma
sono state realizzate le aspirazioni antagoniste di quegli anni a cui
risale la previsione di Toffler?
- Ho abbastanza anni per parlare del Novecento che si è appena
concluso.
In parte della seconda parte del secolo, ho potuto trastullarmi come
tanti con le illusioni.
Le più seducenti, almeno per quanto riguarda gli anni sessanta
e settanta, sono state quelle che promettevano efficaci fionde di Davide
contro le istituzioni e i luoghi di Golia.
Non ero solo, anzi.
I casi generali sono più interessanti, soprattutto se chiamano
in causa nomi noti.
Ad esempio, ricordo che nel mazzo delle illusioni tra i fiori della
contestazione, Roberto Faenza, ripudiò o quasi i film arrabbiati
tipo "Escalation" che gli avevano dato i primi successi e
si dedicò al videotape che aveva imparato ad usare durante un
suo viaggio di emigrante in cerca di futuro negli States. Il videotape
- ci scrisse su addirittura un libro - doveva essere l'arma della controinformazione,
della contro-comunicazione, forse persino della rivoluzione.
I miei dubbi non lo convincevano, anche se debbo confessare che la speranza
di usare la macchina leggera contro i colossi della Tv e del Cinema
vellicava le mie segrete velleità nei momenti di maggiore incazzatura.
Ora che siamo in epoca internet, e che il Grande Fratello rubato a Orwell
ha vinto la sua battaglia provvisoria nella multimedialità mettendo
d'accordo Davide e Golia, aggiungo a tutte le meditazioni più
o meno filosofiche che si possono fare sull'andazzo dei tempi, una mia
osservazione senza troppo impegnarmici: e cioè, che il mettersi
davanti ad una tastiera e chattare, e andare ancora più in là,
fino a sognare come Wim Wenders che nel computer (coniugato con l'Avid)
vede il domani della pellicola sempre e comunque illusoria, è
un buon, confortevole, sfidante sorso di liquore dalla fiaschetta del
can sanbernando cybernetico che ci trotta a fianco
- In quella fiaschetta ci sono o no gocce di specializzazione? Elisir
per alcuni, veleno secondo altri?
- Penso che nella testa di tutti coloro che portano confitto in cuore
(se no, dove?) l'amore per la creatività - per il cui destino
vale la pena anche di scomparire, come scrivo nel mio ultimo libro "2001:
un'altra Odissea" dedicato agli eroi o ai tanti capri espiatorii
delle avanguardie novecentesche - sia chiaro ormai definitivamente un
fatto: le specializzazioni, dal cinema al teatro, alle arti visive,
sono inevitabili, e indispensabili, sempre più sofisticate e
attraenti; ma è anche chiaro che le forme espressive sono per
la gente di talento solo accessori, tecniche, manipolazioni che vanno
conosciute e affinate, e sono soprattutto il campo di gioco delle illusioni
laiche, fondate sullo sforzo di Prometeo di donare agli uomini il fuoco
rubato agli dei. Amen.
- Programmi culturali e didattici, serie sperimentali, inchieste, sceneggiati,
e qui ricordo titoli di cui sei stato regista quali "Stelle in
fiamme", "Gioco perverso", e poi il prezioso "Passioni
nere" cento minuti di viaggio attraverso gli amori del regime ricostruiti
attraverso i repertori filmati, insomma hai attraversato tanti generi
che da solo metti in crisi i catalogatori della cineteca Rai. Sulla
tv la sai lunga.
A bruciapelo: la televisione generalista ha i minuti o i secoli contati?
- Se "Passioni nere", film-documentario trasmesso da "La
grande storia di Rai 3", fosse andato in onda su una tv tematica,
su un canale satellitare, avrebbe avuto un pubblico di specialisti,
un tipo di pubblico che non si lascia incantare e che cerca talvolta
piaceri esclusivi, molto particolari. Le pratiche di autosoddisfazione
personale, valide sia per gli spettatori della televisione hard o della
Storia o di qualsiasi altro tema, per ora sono controbilanciate dalla
cosiddetta tv generalista; la quale, con la sua bruttezza, con la sua
continua capacità di produrre spazzatura che farà storia
comunque in un domani, con la sua arroganza fatta di lotte per il potere
e per divorare pubblicità, consente di tanto in tanto di fissare
meglio le differenze quando manda in onda qualcosa di meno prono alla
sua logica.
La tv generalista non morirà tanto facilmente né tanto
rapidamente.
- Prima dicevo di tue serie tv sperimentali. Fra il '69 e il '75 producesti
"Autori Nuovi" facendo realizzare mediometraggi a nomi quali
Godard, Glauber Rocha, Marco Ferreri, e scoprendo talenti quali Gianni
Amelio, Giuseppe Bertolucci, e tanti altri.
Perché fu chiuso quello spazio che per il suo profilo editoriale
resta unico nella storia della nostra tv?
- Bella fu la stagione degli Autori Nuovi
In Rai, richiamandosi al titolo del romanzo di Bassani, definivano le
opere prime di quegli autori "Il giardino dei finti filmini",
e ridevano come matti
Ridevano dirigenti promossi dalla politica e bocciati dalla professionalità,
preoccupati di difendere i loro programmi banali e volgari; ridevano
i registi agli ordini di quei dirigenti; ridevano i portaborse degli
uni e degli altri, mossi dal desiderio di difendere posizioni, stipendi,
ipocrisie.
Così dunque ridevano, e viene in mente il titolo di un film di
Gianni Amelio, "Così ridevano"; e Amelio era uno degli
autori nuovi da me prodotti. Allora, anni settanta, lo consideravano
un presuntuoso, fragile regista, incapace di costruirsi una carriera.
Con il passare del tempo, quando Amelio cominciò a vincere premi
nei festival e a raccogliere critiche positive, parte dei dirigenti
che così ridevano, e i loro successori che continuavano a ridere,
cambiarono dentiera, e cambiarono il loro vecchio ridere in sorrisi
con tutti i denti più adatti alla situazione.
La storia degli Autori Nuovi, e della sua fine, è una delle più
significative e gravi dimostrazioni di come la Tv spesso lavora contro
se stessa e contro il suo stesso futuro, e come produce falsificazioni
a getto continuo, cioè concede stentatamente e poi soffoca violentemente.
In nome del vuoto, o meglio del vuoto a perdere, graditissimo alle agenzie
municipali ieri della nettezza urbana oggi della ecologia ambientale,
perché chi abbandona il vuoto non lascia la firma.
- Sei Presidente del Centro per l'Arte Contemporanea Luigi Pecci di
Prato, da quell'osservatorio internazionale, qual è lo scenario
che ti si offre?
- L'arte contemporanea è un'arte che si nasconde e che va cercata
fidando in un atteggiamento di paziente ricerca. Ma ce n'è un'altra,
che ha creato un ambito monotono e ripetitivo, grazie ad un interessato
operare di alcune generazioni di critici, collezionisti, promotori di
aste che sanno di essere stati superati, e cercano di tenere in piedi
una competenza e una sensibilità sempre più discutibili.
Al Centro Pecci di Prato, ho avuto la prova di tutto ciò lavorando
a programmi che fossero capaci di riflettere su maestri di un recente
passato: Klein, Richter, Araki, per citarne solo alcuni, e al tempo
stesso fossero programmi capaci di andare oltre la celebrazione. Perché
non c'è niente di peggio di un museo che diventa una specie di
casa di riposo per artisti.
Ma il compito è arduo.
Spesso, i musei, specie quelli di arte contemporanea, sono i feudi di
mentalità oscillanti tra l'ossequio a nuovi feudatari (certi
ricchi) e a vecchi o nuovi rappresentanti della politica che finanzia
(amministratori abbastanza seccati per le grane cui vanno incontro),
mentalità in bilico tra il desiderio di alimentare scandali facili
e di farsi registrare dai fatui cronisti del grande provincialismo di
cui gran parte dell'arte contemporanea è vittima
- Proprio perché l'Enterprise naviga nello spazio, cerco di fare
domande che rimandino alla Terra, ma non proprio terra terra. Pareri,
suggerimenti, o anche insulti, che dall'Enterprise vengono trasmessi
via web alle Istituzioni coinvolte nelle conversazioni
dai un consiglio
al Ministro dei Beni Culturali
la cosa più importante, più
urgente da fare, per le Gallerie pubbliche d'Arte Moderna
- Non ho molti consigli da dare. Ogni situazione ha una sua specificità.
Servono teste più che portafogli statali, e le teste dabbene
non sempre sopportano le carità pelose dei meno acuti e capaci
neofeudatari e neoamministratori
- A tutti gli ospiti di questa vineria spaziale, prima di lasciarci,
chiedo una riflessione sul mito di Star Trek
che cosa rappresenta
secondo te
- Per "Star Trek" e la fantascienza, visto che ho scritto
molto, forse fin troppo, mi permetto di rimandare al mio libro "2001:
un'altra Odissea"
- Ed io lo consiglio a tutti i miei avventori.
In quel libro si ripercorrono le esperienze - dalle avanguardie storiche
alle neoavanguardie, alle nuove tecnologie elettroniche - di chi si
è battuto contro le parole d'ordine e i modelli autoritari della
comunicazione, con alcune pagine dedicate ad uno che ho ben conosciuto:
Victor Cavallo, antieroe e anti-attore, recentemente scomparso, esempio
perfetto di quanti sono speciali alieni in forma umana.
Mo' siamo quasi arrivati a Moskàtya-I, pianeta di celluloide
e cellulosa abitato da replicanti che vanno per mostre in un tubo catodico
se
devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l'intervista,
anche perché è finita la bottiglia di Falanghina La Guardiense.
Però torna a trovarmi, io qua sto
intesi eh?
- Quel libro di cui dicevi prima, è infatti pieno di speciali
alieni e androidi. E tu, caro Armando, sei invitato in quel mondo
Salute!
A presto!
- Cin-Cin Italo, ti saluto com'è d'obbligo sull'Enterprise:
lunga vita e prosperità!
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