Questo mese in Nadir l’artista Jon Rafman.
Jon Rafman è nato nel 1981 a Montreal, dove lavora, dopo gli studi in lettere e filosofia alla McGill University si diploma in film, video e new media presso la School of the Art Institute di Chicago.
“Il tema della perdita permea in una certa misura tutto il mio lavoro. È un tema su cui torno ancora e ancora; che si tratti della perdita della storia, della perdita delle sottoculture, della perdita dell'amore o della perdita della memoria”.
La Post Internet Art, nel 2019, è approdata alla Biennale di Venezia, reclamando la propria esistenza. Esiste eccome, così come esistono le vite secondarie su Second Life, il traffico di organi nel Deep Web e gli Hikikomori che rifiutano un contatto umano se non mediato da un pc. Al contrario della Net.art, che è fruibile solo online, la Post Internet Art ha quasi totalmente abbandonato la Rete: vive negli spazi espositivi classici (gallerie e musei) perché ricerca una riflessione esterna sul nostro vissuto iperconnesso.
Jon Rafman è uno degli esponenti più interessanti di questa corrente, a parer mio.
Le sue opere evocano un isolamento disperato e totale, specchio di una società che ha permesso la nascita di fenomeni come quello degli Hikikomori. Solitamente i suoi lavori sono veri e propri ready made provenienti dal Deep web, da videogiochi online o da Google Street View.
Chiara Righi, critica d’arte (testo estratto da Decode Art)
Fin dai suoi esordi Rafman si concentra sulle conseguenze dell’uso della tecnologia sulla nostra percezione della realtà.
Si occupa di culture e sottoculture digitali, rivelando desideri, ossessioni e feticismi scaturiti dall’utilizzo dei dispositivi tecnologici. Indaga la fusione tra la realtà e la sua simulazione nella società contemporanea attraverso opere che confondono i confini tra il materiale e il virtuale, tra i corpi in carne e ossa e le loro repliche tecnologiche
L’immersione in rete, anche nelle zone più nascoste del “deep web” gli ha permesso di assumere le vesti dell’antropologo amatoriale e del flâneur digitale che indaga il collasso epistemico che si è realizzato negli ultimi anni, nell’azzeramento della distinzione tra la realtà e la sua rappresentazione virtuale. Nei suoi video una voce fuori campo poetica e ipnotica accompagna sempre le immagini, provenienti da sequenze selezionate da Internet, da videogame o da forum di chat online.
Diana Baldon
(Testo tratto dalla presentazione dall’ampia mostra di Rafman di cui è stata curatrice alla
Fondazione Modena Arti Visive).
Video di Jon Rafman
Legendary reality
https://youtu.be/i7cia6AUyvE
Dream Journal
https://youtu.be/ErfEnD2WA3A
Shadovbanned
https://www.youtube.com/watch?v=wv8McljqcGA
Betamale
https://vimeo.com/75534042
Questo video contiene contenuti espliciti o sessualmente allusivi.
Perciò destinato a un pubblico adulto.
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